Piazza Carignano a Torino è un vero salotto, e tutti i visitatori, per turismo o anche solo per lavoro, ci passato. Se piazza Castello è ampia e imponente, con il castello, Palazzo Madama, i portici, Piazza Carignano è più raccolta.
Descrive anche la geografia del potere di allora: a Palazzo reale e a piazza Castello si trova il re, a palazzo Carignano la famiglia cadetta dei Carignano. Tuttavia, nel 1831, dopo la morte di Carlo Felice, senza eredi maschi, la famiglia Carignano Savoia diventa la casa reale.
Intorno a questo doppio luogo centrale di Torino con le due piazze, si trovano i palazzi nobiliari. Si va palazzo Lascaris (ce ne è anche uno a Nizza) ora sede dell’assemblea della Regione Piemonte, a Palazzo della Cisterna, ora sede della Città metropolitana di Torino e che in passato ospitò anche gli ambasciatori nella delicata fase del Risorgimento. Poco più lontano si trova il palazzo della famiglia Cavour, e molti altri.
Il salotto urbano è dominato dal palazzo Carignano, con la sua imponente facciata di mattoni a vista. Costruito a fine ‘600, vide nascere Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II di Savoia (bisogna guardare in alto, e se ne ritrova il nome), fu sede del parlamento subalpino (con Nizza e Savoia) fino al 1860 e nel suo cortile, dell’aula del parlamento dell’Italia unificata dopo il 1860 (senza Nizza e Savoia).
Il monumento a Gioberti
Il monumento a Vincenzo Gioberti si trova in mezzo a piazza Carignano. E’ una semplice statua, ma ricca di simboli, e aiuta a capire qualcosa del Regno di Sardegna e dell’Italia.
Intellettuale cattolico, dopo vicende che lo condussero a Parigi e Bruxelles come esiliato dal regno di Sardegna – dov’era diventato dal 1826 fino al 1833 persino cappellano di corte, si trovò a essere di grande notorietà all’epoca dell’unificazione nazionale, il Risorgimento.
Nel suo libro del 1843, Il primato morale e civile degli Italiani proponeva sia una visione riformista, moderata, fondata sui valori cristiani – come elemento condiviso in tutta la popolazione – sia “federazione” italiana degli Stati della penisola sotto la presidenza del Papa.
Fu un’idea di grande successo intorno al 1848, quando Pio IX concesse una costituzione il 14 marzo. Fu travolta dagli eventi successivi: la fuga del Papa, la Repubblica Romana, la repressione che seguì in tutta la penisola. Gioberti fu deputato, presidente del parlamento subalpino (composto da savoiardi, liguri, piemontesi, valdostani, nizzardi ecc.) e anche primo ministro per qualche mese, tra dicembre 1848 e febbraio 1949. Fu poi in missione diplomatica Parigi negli anni successivi, quindi allontanato da Torino, per morire nella capitale francese nel 1852.
La statua collocata nella piazza nel 1859 è un omaggio al grande e pur breve successo della sua idea di federazione, e anche il simbolo di un’opposizione rispetto a quello che poi accadde. Ora è rivolta e guarda a palazzo Carignano, che fu fonte del più netto centralismo nella costruzione dell’Italia dopo il 1861.
Gli indiani d’America in piazza Carignano
Tra le molte cose da vedere nella piazza ve ne è una che non si nota a prima vista. Già al primo piano di palazzo Carignano sopra le finestre si può notare un fregio, che richiama il copricapo degli indiani d’America. Si tratta di un ricordo che Guarino Guarini, l’architetto, nel 1679 appose in onore dal reggimento dei “Carignano-Salières”, che combatté a fianco della corona francese contro gli irochesi della tribù Mohawk pochi anni prima, nel 1666.
L’appoggio della casa Savoia e del ramo cadetto dei Carignano alla Francia era da capire nello spirito dell’epoca, in contrapposizione al mondo anglosassone ma anche per mantenere una collaborazione con il regno di Francia e contenere le sue mire di espansione sui ducati alpini.
La vicenda del reggimento fu impegnativa e drammatica. Era composto da 1200 soldati savoiardi, piemontesi liguri, nizzardi, a cui si aggiunsero poi 200 mercenari “alemanni”, cioè svizzeri, svevi, renani e irlandesi. Alla prima battaglia, per equipaggiamento e modo di combattimento, subì una dura sconfitta, con 400 morti sui 500 della spedizione. Le cose poi migliorarono e alla fine, nel Québec, il reggimento è diventato leggendario.
Il lago Brandis – 400 chilometri da Monréal, verso nord – ha preso il nome dal porta-insegne Giovanni Nicolis di Brandizzo. A una mezz’ora e meno di 40 chilometri da Monréal si trova la cittadina di Carignan. Il fregio sulla facciata del palazzo è un po’ diverso dal copricapo irochese, che era di una, o due o tre penne lunghe. Quello rappresentato viene probabilmente dai racconti e dall’immaginario dell’epoca.
Alla fine delle ostilità circa 400 soldati sabaudi (quindi savoiardi, piemontesi, liguri, ecc. e chissà se c’erano dei valdostani) restarono unendosi alle ragazze francesi che furono inviate per popolare la colonia. Nella fase fondativa del Québec francofono si trova dunque una presenza dei ducati di Savoia.
Il Parlamento subalpino e il Museo del risorgimento
Il museo dei Risorgimento, inteso a raccontare la storia dell’unità d’Italia e del Risorgimento, dedica un’ampia parte al parlamento subalpino, cioè all’assemblea del Regno di Sardegna preunitaria, prima della cessione di Nizza e Savoia alla Francia.
L’emiciclo è lì, intatto, vi sono le immagini dei savoiardi e dei nizzardi, dei piemontesi e dei liguri, i discorsi di Cavour anche sul traforo del Fréjus. Il museo merita davvero la visita. In modo simmetrico, il Musée savoisien di Chambéry presenta sale con lo stesso spirito di restituzione storica del contesto di allora.
Il primo parlamento dell’Italia unita
Dopo i travagli che vanno dagli accordi di Plombières del 1858 alla spedizione di Garibaldi nel sud Italia e all’unificazione del 1860, fu necessario costruire un parlamento. L’aula di quello subalpino era troppo piccola, e in poco tempo fu allestita nel cortile di palazzo Carignano una struttura provvisoria.
L’aula della Camera dei deputati a Torino nel cortile di palazzo Carignano, che si può attraversare e consente di arrivare a piazza Carlo Alberto, rimase in funzione dal 18 febbraio 1861 fino al 1865, quando la capitale fu trasferita a Firenze. Si sarebbe spostata a Roma dopo la presa della città, nel 1870.
Torino non fu contenta di perdere il suo ruolo di capitale: nella vicina piazza San Carlo si trova una lapide che ricorda l’uccisione da parte della polizia di 55 dimostranti durante una manifestazione di protesta tra il 20 e il 22 settembre 1864.
La finestra di Cavour e il suo ristorante
Su piazza Carignano si affacciava una finestra dello studio di Camillo Benso conte di Cavour. Il ristorante accanto, il Cambio, era frequentato da molta parte della vita politica dell’Ottocento, e dallo stesso Cavour. Quando prese poi le funzioni di primo ministro, si spostò in piazza Castello, in una stanza che è ancora visitabile e si trova attualmente all’interno degli uffici di prefettura, collegata con Palazzo reale.
I caffè di Torino e i ristoranti, durante il Risorgimento, mettevano a disposizioni dei clienti i giornali, secondo un modello diffuso in Inghilterra, in un clima di libertà, di dibattito e di vivacità politica.
Teatro Carignano
Il ristorante Il Cambio è un simbolo della vita cittadina, a cui i torinesi sono affezionati, come il Teatro Carignano, o Teatro dei Principi di Carignano. Era il luogo delle commedie, mentre l’opera si ascoltava al Teatro reale. Vi passarono alcuni dei grandi dell’epoca, vi suonò anche il genovese Niccolò Paganini. Nel 1818, proprio qui disse a Carlo Felice, che diventerà re nel 1821, “Paganini non ripete”. La frase è entrata nel lessico degli italiani.
Ora è una sede autorevole di rappresentazioni teatrali e di incontri pubblici. All’epoca del Whatever it takes in difesa dell’euro, ha anche ospitato l’allora presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi.
Il teatro fu costruito su una struttura che ospitava gli spettacoli a favore dell’aristocrazia cittadina sin dal ‘600. I lavori iniziarono nel 1703, la ristrutturazione e ampliamento seguirono nel 1716 e gli spettacoli pubblici iniziarono dal 1719. Durante il Risorgimento fu un luogo di grande mondanità, con rappresentazioni teatrali vissute in modo partecipato nell’intenso clima politico del momento.
La gelateria Pepino
Ancora volgendo lo sguardo a sinistra, si trova la gelateria Pepino, che fa anch’essa parte delle vicende dell’unità italiana. Si tratta di gelatai napoletani che si trasferirono a Torino a Italia unificata, nel 1883, impiantando in pieno centro della città la loro Vera Gelateria Artigiana, che ebbe subito un grande successo.
Fu la prima di Torino e tra le prime del nord Italia. Negli anni Trenta, la ditta Pepino inventò anche “il pinguino”, un gelato con lo stecco di legno e ricoperto di cioccolato, che prima non s’era visto. Negli anni Venti, negli Stati Uniti, ne erano intanto già stati brevettati altri due assai simili.
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