Tra Torino e Grenoble, ai piedi delle Alpi, l’Antico Egitto ha ritrovato tutto il suo splendore. Il Museo Egizio di Torino, secondo solo a quello del Cairo per ricchezza di collezioni, e Jean-François Champollion, che visse a Grenoble per gran parte della sua vita, hanno fatto delle Alpi il centro della rinascita degli studi sull’Antico Egitto in Europa. Ma perché Torino?
La necessità di una storia mitica
Quando Emanuele Filiberto, duca di Savoia, decise nel 1563 di trasferire la sua capitale a Torino, la sua intenzione era accompagnata da un’ambizione strategica. Il duca si rese conto che avrebbe potuto espandere i suoi territori solo verso la pianura padana. La parte francese era sottoposta a continue pressioni da parte del re di Francia. Ma cambiare la capitale dopo quasi cinque secoli di storia comitale e ducale non era cosa da poco. Bisognava dare a Torino un’origine nobile e mitica, come quelle di Roma o Atene. Casa Savoia era una dinastia importante ed era importante pensare in grande.
Un barone savoiardo, Emanuele Filiberto Pingon, studioso di Chambéry e storiografo alla corte del Duca, fu incaricato di riscrivere la storia della dinastia sabauda e, allo stesso tempo, di riscrivere la storia di Torino.
Zeus, Fetonte e la città sul Po
Fu così che, attraverso abili e curiose commistioni di miti, secondo Pingon, Torino finì per essere fondata da un principe egizio, Fetonte, figlio di Iside. In parallelo, un suo omonimo greco, sempre Fetonte, ma questa volta figlio del sole, morì fulminato da Zeus per i torti commessi nella sua imprudenza giovanile e gettato nel fiume Eridano, che gli storici fin dall’inizio della nostra era hanno identificato con il fiume Po.
La quintessenza della commistione di mitologie si è avuta con il nome di Torino. Ios, la greca, e Iside, l’egizia, erano spesso equiparate dagli antichi. Fetonte, il principe, era figlio di Iside, mentre Ios era stato sedotto da Zeus quando aveva assunto le sembianze di un toro.
Secondo la leggenda, Fetonte fondò una città sul Po in onore di Apis, il dio toro egizio. Il toro divenne così il legame tra Fetonte, l’Eridano e Iside. Il pantheon greco trasformò quello egizio e Torino ebbe finalmente la sua fondazione mitica.
La storia è molto bella: qui è abbreviata e può essere letta in una versione più lunga nel libro “Piemontegizio” presentato sul sito della Fondazione1563. Tuttavia la prova di questa presenza egizia era attesa e sperata prima che la leggenda potesse essere fissata nella pietra.
Il sito archeologico di Industria e il culto di Iside sulle rive del Po
D’altra parte, durante la costruzione della cittadella torinese nel 1567, lungo le rive del Po furono rinvenuti frammenti di iscrizioni e monumenti che rivelavano la presenza di un culto di Iside. Sebbene fosse abbastanza diffuso nell’antichità – Iside era una dea madre e il suo culto esisteva in tutte le culture politeiste del bacino del Mediterraneo – fu usato come prova tangibile della versione di Pingon della storia.
Inoltre, questi frammenti provenienti dalle profondità della storia erano stati certamente ritrovati sul sito di un antico tempio trasformato in luogo di culto cristiano con la costruzione dell’Abbazia di San Solutore Maggiore, poi distrutta durante l’occupazione francese.
Un’altra leggenda vuole che la chiesa della Gran Madre di Dio a Torino abbia le fondamenta sul sito di un antico tempio di Iside.
Nel 1630, il duca Carlo Alberto I acquistò dalla famiglia Gonzaga un frammento di altare in bronzo proveniente da un santuario dedicato a Iside, la “Mensa Isiaca”, probabilmente rinvenuto a Roma nel secolo precedente. Ciò rafforzò simbolicamente il legame tra Casa Savoia e l’Egitto.
I romani e le statue egizie nel sito di Industria, sul Po
Più tardi, a metà del XVIII secolo, nel 1745, gli scavi archeologici presso la colonia romana di Industria, non lontano da Monteu da Po, portarono alla luce alcune statuette egizie raffiguranti il dio Apis (il toro) e la dea Iside. Un’ultima conferma che la valle tra la Doria Riparia e il Po era stata la leggendaria culla di una dinastia egizia responsabile della fondazione della città di Torino, secondo chi crede che le origini di Torino siano nella mitologia.
Ovviamente, in questo caso e in questo contesto, non era la storia archeologica vera e propria a interessare maggiormente gli storici di Casa Savoia, ma la creazione di un mito da cui sarebbe derivata la grandezza della dinastia e l’oculata scelta del luogo per la sua capitale.
In ogni caso, questa storia mitica fu abbastanza importante da far scrivere una canzone in onore di Fetonte al matrimonio di Vittorio Amedeo nel 1750, e persino Napoleone coniò una moneta da 20 franchi che citava Eridania per celebrare la vittoria nella battaglia di Marengo.
Il tempo delle collezioni egizie
È grazie all’opera “Augusta Taurinorum” di Federico Pingone, pubblicata nel 1577, una storia della città di Torino, che l’interesse della corte sabauda per la storia egizia inizia a prendere forma e, con il passare del tempo, i duchi cominciano a raccogliere oggetti di questa civiltà, all’epoca quasi dimenticata.
La prima consistente collezione di Casa Savoia fu creata quando acquistò un lotto di 270 reperti archeologici appartenenti alla famiglia Gonzaga, in concomitanza con l’arrivo della “Mensa Isiaca” nel capoluogo piemontese. Questo lotto è noto come “Lotto Gonzaga”.
A partire da questo periodo, e con l’inizio dei viaggi in Oriente, Casa Savoia avviò e incoraggiò spedizioni di scavi archeologici.
Nel 1757, Carlo Emanuele III incaricò il botanico Vitaliano Donati di compiere una spedizione in Egitto e in Medio Oriente, con l’obiettivo di riportare in patria specie vegetali da impiantare nell’orto botanico del Valentino e, allo stesso tempo, di cercare pezzi d’arte egizia da aggiungere alla sua collezione. Trecento nuovi pezzi si aggiunsero ai precedenti, tra cui statue e le prime mummie. I pezzi furono conservati nel museo dell’Università.
La costruzione della collezione
Le spedizioni successive, più mirate e meglio organizzate, costituirono la base della grande collezione del Museo Egizio di Torino. Era l’inizio del XIX secolo.
Napoleone aveva visitato l’Egitto. L’interesse per questa civiltà cresceva in tutta Europa. La Stele di Rosetta, ritrovata nel 1799, stuzzica la curiosità degli studiosi.
Di conseguenza, Bernardino Drovetti, nato in Piemonte ma naturalizzato francese e nominato console francese in Egitto al passaggio delle truppe napoleoniche, riuscì a costituire una delle più grandi collezioni di reperti egizi dell’epoca. Nel 1816, il governo piemontese rifiutò di acquistare la collezione perché il prezzo richiesto era troppo alto. Nel 1819 anche la Francia rifiutò, non solo per il prezzo ma anche per le simpatie napoleoniche di Drovetti.
Fortunatamente per il futuro Museo Egizio di Torino, si presentò una seconda opportunità.
Il conte Carlo Fabrizio Vidua, intellettuale piemontese, riuscì a convincere il re di Sardegna ad acquisire la collezione prima che i francesi o gli inglesi se ne impossessassero. Egli stesso acquistò un gran numero di cimeli, che oggi sono il fiore all’occhiello del museo di Casale Monferrato. Durante il suo viaggio in Egitto, aveva incontrato Drovetti e aveva capito la grande importanza di questa collezione per l’influenza di Torino nel mondo culturale dell’epoca.
Il Museo Egizio di Torino aprì le porte al pubblico nel 1827: all’epoca era l’unico museo al mondo con collezioni sulla civiltà egizia.
Da allora, sotto l’impulso di una serie di direttori competenti ed entusiasti, il museo è stato ulteriormente ampliato, arricchito e modernizzato. Oggi vanta la seconda più grande collezione al mondo di reperti archeologici egiziani.
L’arrivo di Champollion a Torino nel 1824
Jean-François Champollion era già famoso quando arrivò a Torino nel 1824 per studiare il materiale egizio delle collezioni del museo. Nel 1822 aveva decifrato la Stele di Rosetta.
Il giovane talento, nato nel 1790, ebbe un’educazione difficile e fu istruito da un precettore che gli trasmise il gusto per le lingue antiche e dimenticate, fino a diventare lo specialista assoluto nella decifrazione dei geroglifici. Aveva solo quattordici anni quando iniziò a interessarsi alla Stele di Rosetta.
Nel 1807 si recò a Parigi per completare i suoi studi di orientalismo. Aveva solo diciassette anni ma era già membro dell’Accademia delle Scienze e delle Arti di Grenoble. Dal 1808 in poi dedicò tutte le sue ricerche alla Stele di Rosetta. Anche quando, un anno dopo, ottenne la cattedra di storia all’Università di Grenoble.
Le turbolenze politiche della Francia dell’epoca lo allontanarono talvolta dai suoi interessi, il che spiega perché solo nel 1821 si rimise al lavoro e trovò finalmente la chiave per decifrare i geroglifici. Nel 1822 pensò di aver scoperto il sistema di scrittura. Per questo motivo partì per Torino non appena seppe dell’arrivo della collezione Drovetti. Questo avvenne nel 1824.
Tra Torino, Grenoble e l’Egitto
Rimase a Torino per un anno per perfezionare la sua scienza e divenne capace di decifrare un gran numero di reperti presentati nelle nuove collezioni acquistate da Drovetti e oggetto del futuro Museo Egizio. Descrisse tutte le collezioni con passione ed entusiasmo e poté constatare l’accuratezza delle sue teorie sui geroglifici e sulla civiltà egizia.
Champollion non aveva mai messo piede in Egitto. Finalmente ci andò, tra il 1826 e il 1829.
A Grenoble, la città in cui crebbe, studiò e lavorò, il museo cittadino possiede ampie collezioni di antichità egizie, ma le ali che le ospitano sono attualmente chiuse al pubblico per restauro.
È tuttavia possibile visitare la casa del fratello di Jean-François Champollion, che lo ospitò durante i suoi anni a Grenoble. La “maison des ombrages” si trova a Vif, a pochi chilometri da Grenoble. Il museo presenta la vita di Champollion e il suo lavoro sui geroglifici.
Da non confondere con il museo Champollion di Figeac, nel dipartimento del Lot, la città dove l’egittologo è nato, ma dove ha trascorso pochissimo tempo fino all’età di nove anni, prima di trasferirsi con il fratello a Grenoble.
Champollion scrisse la storia dell’egittologia tra Grenoble e Torino.
La moda egizia a Torino e in Piemonte
Il crescente interesse per la civiltà dell’Antico Egitto nel XVIII e XIX secolo non è stato esclusivo del Piemonte. Scrittori, studiosi e storici di tutti i Paesi si interessavano sempre più alle civiltà mediterranee, e l’Egitto era una di queste. Ma fu il lato più misterioso dell’Egitto ad attirare la curiosità di cortigiani in cerca di originalità.
È possibile che la tradizione della Massoneria, sviluppatasi in Europa a partire dalla prima metà del XVIII secolo tra la nobiltà e gli uomini d’arme, abbia portato questo interesse per una tradizione antica anche ai piani alti della corte torinese. Il simbolo della piramide, il triangolo e l’occhio sono infatti simboli sia dell’Antico Egitto sia della Massoneria moderna.
Il passaggio di massoni simbolisti dalla reputazione sulfurea, come il Conte di Cagliostro, rafforzò la reputazione di Torino come città magica.
In ogni caso, molte opere architettoniche e decorative traggono ispirazione da questa antica civiltà e sono visibili ancora oggi.
La Mensa Isiaca del 1630 fu il punto di partenza. I simboli e la grafica visibili su questo pezzo archeologico influenzarono notevolmente gli scultori, i pittori e i decoratori dei secoli successivi.
Nel XIX secolo si iniziò a costruire obelischi. Vi erano obelischi in Piazza Savoia, Piazza Statuto, Largo marconi, davanti alla chiesa di San Salvario e in Piazza Crimea a Torino.
Gli obelischi fiorirono anche nei parchi e nei giardini, così come i monumenti funerari, come la piramide sulla tomba di Quintino Sella a Oropa.
La diffusione capillare degli elementi egiziani
Anche le decorazioni all’interno dei vari castelli, con le loro tappezzerie, le statue e altri dettagli dell’arredamento, richiamano il gusto per l’antico Egitto e i suoi misteri. Ancora una volta, è difficile dire se questa moda fosse dettata dal gusto storico o dall’affiliazione massonica dei proprietari. Esempi di questo tipo si trovano nel Gabinetto Reale e nel Salone Grande del Palazzo di Racconigi.
Tutti i musei piemontesi contengono piccole collezioni di manufatti archeologici egiziani, oltre a elementi decorativi più moderni ad essi ispirati.
Il più grande di tutti, il Museo Egizio di Torino, è visitabile tutti i giorni dalle 9 alle 18.30, solo il lunedì mattina. I biglietti possono essere acquistati online sul sito del museo.
Emanuele Filiberto non solo ha ricostruito lo splendore della Casa Ducale e ha riscritto la storia della sua dinastia e della città che ha scelto come capitale, ma ha anche dato a Torino un patrimonio culturale unico che la rende la città più egiziana del mondo occidentale.
LEGGI ANCHE: Il castello di Grandson, fin dove sono arrivati i Savoia