Lavoratori frontalieri di Italia e Svizzera, rappresentanze sindacali e vertici regionali hanno potuto incontrarsi nella mattinata di sabato 3 febbraio ad Aosta per discutere del nuovo accordo fiscale e della sicurezza sociale da un capo e l’altro del confine. La tavola rotonda è stata organizzata dalla sezione valdostana del sindacato UIL, nella convinzione dell’importanza di approfondire una tematica normativa quantomai attuale.
“Prevediamo di potenziare gli uffici del nostro patronato al fine di tutelare e dare risposte ai professionisti indipendentemente dal fatto che essi prestino servizio in Italia oppure in Svizzera – ha commentato il segretario generale UIL, Ramira Bizzotto -. La Valle d’Aosta è una delle regioni italiane che conta il maggior numero di impiegati fuori frontiera, i quali si muovono tra due Stati che spesse volte non si parlano l’uno con l’altro”.
I frontalieri Italia-Svizzera
A oggi, secondo quanto riportato dal segretario generale UIL Frontalieri Raimondo Pancrazio, nel mondo si contano 1,5 milioni di frontalieri, di cui 120 mila soltanto in Europa; tra questi quasi 6 mila, di cui 3 mila italiani, lavorano sul territorio svizzero al fianco di francesi, tedeschi e austriaci.
“Il nuovo accordo va a definire nel dettaglio la natura del frontaliero come soggetto che risiede nella fascia di confine, lavora tra i Cantoni del Vallese, del Ticino e dei Grisoni e attraversa tutti i giorni la frontiera – ha chiarificato l’uomo -. Si tratta di un fenomeno storico capace di coprire diverse tipologie e posizioni di lavoro oltre che fondamentale per il mantenimento dell’economia dei comuni di confine”.
Chiarezza sul nuovo accordo
Il nuovo accordo fiscale che concerne i frontalieri Italia-Svizzera mira a salvaguardare i professionisti impiegati nel Paese vicino, che in passato venivano sottoposti a tassazione unicamente nello Stato estero; questo si preoccupava poi di restituire il 40% degli introiti all’Italia secondo un apposita convenzione di ripartizione, in seno alla quale nel 2022 sono stati riscossi 118 milioni di franchi di imposte.
“Dal 17 luglio dell’anno scorso, data di entrata in vigore delle nuove misure, tutti i professionisti devono dichiarare i propri redditi finali in Italia così da essere allineati ai colleghi – ha delucidato ancora Pancrazio -. Sono state concordate alcune agevolazioni per le comunità di confine quali una franchigia di 10 mila euro tolta dal guadagno lordo e una detrazione di tutti i contributi versati in Svizzera”.
Ogni 20 di marzo di qui ai prossimi anni, in aggiunta, l’autorità fiscale svizzera dovrà comunicare all’Agenzia delle entrate italiana una serie di dati concernenti le ore lavorative e gli stipendi elargiti ai frontalieri.
Tra reddito e pensione
Il mestiere dei frontalieri Italia-Svizzera si connota di una serie di ombre che nemmeno il nuovo accordo fiscale è in grado di appianare. Tra di esse figurano la possibilità di licenziamento immediato senza preavviso o sussidio o, per le professioniste, un periodo di maternità che non può superare le 13 settimane.
“Le donne possono accedere alla pensione a 64 anni di età, mentre gli uomini a 65 anni di età, ma è possibile anticipare a 62 anni di età unicamente qualora si tratti di un lavoro usurante, pena il rischio di perdite finanziarie – ha spiegato il responsabile ITAL UIL del Vallese, Pasqualino Gallicchio -. L’invalidità viene però riconosciuta sino al 40% e, se raggiunge il 70% con conseguente incapacità impiegatizia, il soggetto può beneficiare di una copertura finanziaria completa nonché del pensionamento precoce”.
Il prossimo lunedì 3 marzo, peraltro, i frontalieri in particolare e i professionisti in generale di tutta la Svizzera potranno votare per l’allargamento della tredicesima a ogni categoria professionale.
“È bene che il denaro ritorni alla comunità sotto forma di investimenti a favore delle esigenze della popolazione – ha commentato ancora Gallicchio -. Di qui l’innalzamento dell’indennità di disoccupazione e la prossima creazione di un tavolo interministeriale a salvaguardia dei diritti dei lavoratori e alla creazione di un apposito statuto loro dedicato”.
L’ombra della polemica
Come constatato dal deputato valdostano Franco Manes, i territori maggiormente interessati dal fenomeno del lavoro frontaliero sono per l’Italia la Valle d’Aosta, il Piemonte e la Lombardia e per la Svizzera il Canton Ticino, il Canton Vallese e il Canton Grisoni.
“Attraverso la tassazione lo Stato sta tentando di disincentivare il lavoro frontaliero per arginare la carenza di personale nel comparto della sanità – ha osservato il politico -. Questa è per noi una norma ingiusta che viola i precedenti accordi tra Italia e Svizzera, ciò che ci ha spinti ad avviare una raccolta firme per domandarne la cancellazione”.
Stando a Manes e ai vertici della UIL la sola soluzione possibile per dare un freno alle “migrazioni lavorative” di molti professionisti italiani sarebbe invogliarli finanziariamente e personalmente a prestare servizio in Italia anziché in Svizzera.
“Non si tratta di imporre ulteriori tassazioni bensì di dare vita ad agevolazioni fiscali e modalità di riconoscimento direttamente in loco capaci di rendere meno appetibile un impiego all’estero – ha constatato ancora il deputato -. Tale azione lunga ma corretta vuole valorizzare i singoli e fare il pieno interesse lavorativo del nostro Paese nonostante le richieste di maggiori professionisti espresse dal parlamento di Berna”.