Il Pane carasau, noto anche come “carta da musica” per la sua sottigliezza e la sua croccantezza, è un pane tipico della Sardegna. La sua origine affonda le radici nelle antiche tradizioni dei pastori locali, che avevano necessità di un pane che fosse leggero e conservabile per il trasporto durante la transumanza.
Il termine “carasau” deriva dal verbo sardo “carasare” nel significato di “tostare” e si riferisce alla duplice cottura che rende questo pane così fragrante e sottile oltre che versatile a numerosi abbinamenti tanto dolci quanto salati. Ovviamente ne esistono diverse varianti regionali, come il Pane pistoccu diffuso in Ogliastra o il Pane tostu della Barbagia, di forma tonda o rettangolare e di dimensioni più ridotte.
Esso funge da base per diverse ulteriori preparazioni tipiche sarde, tra cui per esempio il Pane infustu, bagnato in acqua e arrotolato attorno a salumi e formaggi, oppure il Pane guttiau, con una leggera spennellata di olio e un pizzico di sale prima del passaggio in forno o sulla griglia. Una delle più note è però il Pane fratau, con sfoglie immerse nel brodo di pecora bollente, poi alternate a strati di sugo di pomodoro e pecorino grattugiato e completate con un uovo in camicia a sormontare il piatto.
Gli ingredienti
Per preparare il Pane carasau servono in realtà pochi ingredienti, la cui quantità inferiore rispetto ad altre ricette della nostra rubrica “Nos Alpes Cuisine” possono senz’altro essere compensate con una maggiore qualità nelle materie prime scelte. Si tratta in sostanza di semola rimacinata di grano duro(300 grammi), acqua (160 millilitri), lievito di birra (12 grammi) e sale (15 grammi).
È bene rammentare però che secondo la traduzione esso veniva preparato in due distinte varianti, l’una con semola di grano duro, più pregiata e diffusa tra le famiglie benestanti, e l’altra con farina di orzo o cruschello, di colorazione più scura, meno costosa e consumata dalle classi meno abbienti. Per ambedue le categorie di commensali, però, una delle caratteristiche maggiormente apprezzate di tale prodotto era senza alcun dubbio la sua capacità di conservazione a lungo termine, tanto che lo rende consumabile anche a un mese di distanza se mantenuto a temperatura ambiente all’interno di un sacchetto di carta.
La preparazione del Pane carasau
La preparazione del Pane carasau, nota in sardo come “sa cotta”, è un processo lungo e affascinante, un tempo capace di coinvolgere intere famiglie e comunità. Esso esordisce all’alba con “s’inthurta”, ovverosia la realizzazione dell’impasto con lievito ammollato nell’acqua assieme alla farina di semola all’interno di una madia di legno o di una conca di terracotta.
La lavorazione prende poi il nome di “cariare” o “hariare” e avviene energicamente su di un tavolo: dopo averla schiacciata, allargata e riavvolta a più riprese, la pasta è lasciata riposare all’interno di contenitori di terracotta o sughero, coperta con teli di lana per favorire la lievitazione (“pesare”). Seguono ancora la fase detta “orire” o “sestare”, la divisione in panetti regolari che vengono arrotondati e lasciati riposare ancora all’interno di cestini di vimini, e la fase detta “illadare” o “tendhere”, la stesura con un matterello sino a ottenere delle sottili sfoglie rotonde sovrapposte tra panni di lana.
La prima cottura è conosciuta come “cochere” e avviene in forno a legna a 500 gradi con quercia od olivastro sino a che i panetti non si gonfiano come palloni. Successivamente, essi sono sfornati e rapidamente tagliati in due (“carpire”, “calpire” o “fresare”), ricavandone due sottili dischi chiamati “sos pizos”, a loro volta sottoposte a una finale tostatura detta “sa carasadura” che le rende croccanti e dorate.
Il finale Pane carasau può essere consumato al naturale, spezzato a mano e accompagnato con formaggi, salumi o verdure. Esso si sposa perfettamente con i sapori intensi della cucina della Sardegna, tra cui Pecorino sardo e Fiore sardo DOP, salsiccia sarda e guanciale ma anche bagnato nel miele e servito con ricotta per un dessert fresco e inaspettato.
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