Dopo due anni caratterizzati da temperature elevate e precipitazioni scarse oltre che connotati da siccità estrema e carenza idrica, gli accumuli di neve sull’arco delle Alpi italiane sono ora in lieve surplus. Grazie alle nevicate occorse tra il mese di febbraio e il mese di marzo scorsi, difatti, le quantità di Snow Water Equivalent (SWE), ovverosia di acqua contenuta all’interno della neve, sono tornate in linea con la media degli ultimi dodici anni.
Neve sulle Alpi: lo stato dell’arte
A dare alla popolazione della Penisola italiana la buona notizia climatica, dopo una fine di inverno già di per sé promettente, è stata lo scorso sabato 4 aprile la Fondazione CIMA. Tale azzeramento del deficit nazionale, che ora ha raggiunto una seppur minima eccedenza del +1%, si deve secondo gli esperti a temperature generalmente mantenutesi in linea con quelle del decennio passato; queste hanno permesso di preservare pressoché intatti gli stock nevosi che nei due anni passati erano stati loro malgrado intaccati da fusione precoce.
“È importante osservare che la situazione non è uniforme e che si notano dunque differenze importanti a seconda dell’altitudine, tanto che lo SWE risulta positivo al di sopra dei 1800 metri ma resta negativo al di sotto dello zero termico – commenta l’idrologo Francesco Avanzi -. È come se vi fossero due inverni allo stesso tempo, uno nevoso in quota e uno avaro di neve a quote medio-basse”.
Neve sugli Appennini: una situazione ribaltata
Se gli stock di neve sulle Alpi italiane possono confermarsi nel complesso buoni e far ben sperare per una estate meno siccitosa delle precedenti 2022 e 2023, lo stesso non si può dire per ciò che concerne gli Appennini. Qui, difatti, il deficit risulta ancora ben marcato a causa di un mese di marzo più piovoso ma anche più caldo, caratterizzato da anomalie termiche sino a +2,5°C rispetto al decennio scorso. Questo ha portato sia a una penuria di nevicate significative anche sulle cime più elevate sia alla fusione precoce dei già scarsi accumuli invernali delle regioni del Centro Italia.
Tale divario risulta evidente se si osservano i dati raccolti da Fondazione CIMA circa i singoli bacini idrografici della Penisola. Mentre sul Tevere è stata riscontrata ancora una una perdita del -80% rispetto al periodo storico, per l’Adige l’anomalia è appena del -4% e per il Po è addirittura cresciuta al +29%.
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Il futuro della risorsa idrica
La neve abbondante sulle Alpi italiane e specularmente esigua sugli Appennini, però, sarà ora chiamata a sostenere i picchi di caldo e il clima soleggiato che normalmente interessano i mesi primaverili ed estivi.
“Le statistiche ci hanno mostrato un significativo incremento dello SWE tra l’inizio e la metà del mese di marzo, che stava però per essere seguito da un rapido declino interrotto soltanto dalle ulteriori nevicate in arrivo – chiarifica ancora Avanzi -. In altre parole, le temperature elevate possono ancora causare anche sulle Alpi fusioni precoci tanto che, affinché essa possa essere davvero utile nei periodi in cui l’acqua ci è più necessaria, la neve deve restare intatta ancora per alcune settimane”.