Giovanni Toti ha presentato le dimissioni da presidente della Regione Liguria questa mattina, 26 luglio. La situazione era ormai troppo tesa, e aveva ormai perso il sostegno politico della sua stessa area, malgrado i toni accesi che erano emersi, a volte, a sua difesa. Le elezioni si terranno probabilmente in autunno.
Dopo ottanta giorni, la situazione era insostenibile
Giovanni Toti era agli arresti domiciliari dal 7 maggio 2024, quando erano scattati vari arresti in ragione di un’inchiesta che contestava reati corruzione e presunti illeciti legati in particolare alla gestione di una concessione trentennale per una banchina al porto di Genova, ad aiuti elettorali, e alcuni procedimenti amministrativi rispetto a permessi per superfici commerciali.
I fatti emersi, al di là del caso giudiziario, avevano un aspetto generale, anche politico. Dalle intercettazioni e dalle stesse ammissioni dei protagonisti è emerso, per esempio e tra altri fatti significativi, che durante la fase di attribuzione di una concessione per 30 anni della banchina “Rinfusi” del porto di Genova, si svolgevano incontri tra Toti e l’imprenditore Aldo Spinelli con la esplicita e ripetuta cura di tenere i telefoni cellulari lontani per evitare evidentemente le intercettazioni, che non potevano che essere dell’autorità giudiziaria.
Altri fatti hanno dato l’idea di una gestione politica non all’altezza del compito: un ruolo di “facilitatori” di procedimenti e non solo di sorveglianza del buon funzionamento dell’amministrazione, per esempio con i casi di nuovi supermercati Esselunga, o nella trasformazione di una spiaggia da privata a concessione privata.
Gli episodi di colore, come le giornate a Montecarlo, di vacanza ma anche perché di difficile intercettazione, i versamenti di denaro, il linguaggio, hanno dato luogo a diversi articoli nella cronaca locale. Riemergeva un ambiente dell’epoca di Mani Pulite, ma in un contesto politico e di sensibilità molto cambiato, e in parte ostile alla magistratura.
La resistenza politica di Toti alle dimissioni
In questi ottanta giorni, oltre allo sviluppo giudiziario, si è articolata anche una vicenda politica. In base allo statuto della Regione Liguria, il vicepresidente della Regione, Alessandro Piana, ha assunto le funzioni del Presidente Toti, in quanto impossibilitato temporaneamente ad esercitarle.
Nella prima fase, anche di passaggio dei poteri, la giunta regionale condotta da Alessandro Piana ha ripreso a riunirsi regolarmente e ad assumere le decisioni per le quali era necessario non interrompere i procedimenti, in particolare per i lavori di infrastruttura, decisi con il Comune di Genova e con il livello statale. Ha mostrato quindi di poter funzionare, almeno per mandare avanti i principali dossier aperti.
Poi, già prima delle elezioni europee, si è trattato di concordare una linea per rispondere alle opposizioni in Consiglio regionale, alle richieste di informazioni e alle scontate richieste di dimissioni. Gli arresti erano in qualche modo obbligati dalla stessa scadenza elettorale, visto che erano emersi possibili illeciti in precedenti elezioni.
Già in questo caso si è inteso che la maggioranza aveva bisogno di indirizzo, e che potevano esservi elementi di divisione. A Toti ha ottenuto di avere dei colloqui con gli esponenti politici di maggioranza e – paradossalmente – ha scelto non di incontrare il suo principale riferimento istituzionale, cioè Alessandro Piana, della Lega Salvini, ma ha preferito parlare con l’assessore ai lavori pubblici, Giacomo Giampedrone, a lui vicino.
La maggioranza ha poi tenuto, anche beneficiando di un’opposizione poco attrezzata, con reazioni più formali, pur vivaci, che sostanziali.
Nel tempo, la divisione in maggioranza è però emersa
Da un lato, Toti, e chi lo ha affiancato, ha scelto il confronto con la magistratura, con riflessi nei media e il sostegno di alcuni commentatori. Si sono ipotizzate ispezioni ministeriali da parte del ministro della giustizia, Carlo Nordio, vi sono state prese di posizione a sostegno dello stesso Matteo Salvini, che a un certo punto lo stesso Toti ha chiesto di incontrare. La difesa di Toti ha inteso principalmente ottenere il superamento degli arresti domiciliari e quindi il ritorno alle funzioni di presidente.
Con lo scorrere del tempo, e l’evidente passaggio dall’impedimento temporaneo a quello permanente, che secondo la Costituzione italiana prevede all’art. 126 la decadenza automatica del Presidente della Regione e del Consiglio regionale, sono emerse anche le differenze politiche.
Il rigassificatore di Vado Ligure, nei pressi di Savona ne è stato il caso emblematico. Previsto dal governo di Mario Draghi in accordo con la Regione Liguria di Giovanni Toti, nell’emergenza energetica della guerra della Russia contro l’Ucraina, prevedeva il posizionamento a Vado Ligure, nei pressi di Savona, di una nave di rigassificazione da gas liquefatto, per ridurre la dipendenza dal gas russo.
Alessandro Piana, della Lega Salvini, nel ruolo di sostituto di Giovanni Toti alla presidenza della Regione, nelle ultime settimane, ha prima incontrato a Vado Ligure i cittadini contrari alla nave e ha poi espresso, il 13 luglio, la sua opposizione all’arrivo del rigassificatore. Il messaggio era da un lato ambientale e a fianco delle proteste dei cittadini, ma dall’altro di divergenza da Giovanni Toti e coerente con le posizioni pro-russe della Lega Salvini.
Infine, le dimissioni
Nella maggioranza vi sono stati altri elementi di discussione e divisione, per esempio sulla realizzazione della Gronda di Genova. Ad un certo punto, con garbo e un certo tono istituzionale, il 24 luglio, il sindaco di Imperia Claudio Scajola ha parlato di una “eccezionalità che va risolta”, riferendosi alle attese dimissioni di Toti.
Il 26 luglio le forze di maggioranza, con la componente nazionale dovevano tenere una riunione, poi rinviata. È stato il segnale definitivo che ha condotto, nello stesso giorno, alle dimissioni di Giovanni Toti da Presidente della Regione Liguria, e prima di un intervento statale costretto prima o poi dall’art. 126 della Costituzione.
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