Michel Moriceau ci accompagna nella lettura del romanzo di Adrien Borne L’Ile de là haut: è la storia del giovane Marcel, durante la Seconda guerra mondiale, ai sanatori in montagna del Plateau d’Assy in Alta Savoia.
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I sanatori hanno ispirato alcune delle pagine più toccanti della letteratura. Sono luoghi lontani dal mondo, che favoriscono la meditazione ma anche la sublimazione delle sensazioni. Sono paradisi del riposo dove il tempo è sospeso, dove le passioni sono esacerbate, tristi o indispensabili durante lunghe e pazienti parentesi aperte all’ignoto.
I sanatori sono una presenza permanente nel paesaggio. In montagna – e ancora di più sul Plateau d’Assy – dominano le pinete, assorbono il sole, emergono da un mare di nuvole come tante isole, dove si rifugiano i malati di tubercolosi.
Un giorno di nebbia, un ragazzo con il respiro corto viene ricoverato nella struttura più elegante della località. Marcel ha appena vissuto le sue prime emozioni, ma a differenza di Proust, proviene da un ambiente modesto e non ha idea di chi sia suo padre. Si ritrova improvvisamente in un mondo di adulti di diversa estrazione sociale.

Marcel impiega il suo tempo a cercare di comprendere i motivi per cui è stato mandato prroprio in quell’hotel termale, dove il costo del vitto è al di sopra delle possibilità di una madre amorevole e generosa.
Riesce a pensare solo a suo padre, in questo strano scenario d’ambiente chiuso dove le giornate si organizzano nel languore e nella noia, nell’incertezza e nell’ansia, ma anche nell’intensa emozione di una vita che continua ad avanzare a piccoli passi su un filo che il destino sta erodendo.
I giorni che passano, senza far nulla
L’autore descrive i giorni che passano, senza far nulla, in silenzio, a respirare l’aria fresca. Al suo personaggio dal tempo sospeso si affianca in una piccola compania di persone di cui scopre i codici di comportamento in incontri casuali, o durante gli appuntamenti per le cure mediche, organizzti secondo un rituale rigido e materno al tempo stesso, dove la pedagogia della cura non fa nulla per affrontare il senso di colpa del paziente: è lì per salvare la pelle, non per divertirsi.
Anche altri autori hanno condiviso la vita quotidiana di questi stabilimenti d’alta quota, raccontando le relazioni sociali, gli incontri mondani, le serate culturali e le giostre oratorie: Thomas Mann in visita a La Montagne magique; Paul Gadenne in cura sullo stesso Plateau d’Assy; Alain Decaux che nei suoi Mémoires ricorda di aver preso anche lui l’autobus per Les Contamines, pensando che fosse l’autobus per gli infetti; senza dimenticare le allusioni di Alphonse Boudard a “Nostra Signora di tutti i tubercolotici…”.
L’originalità del romanzo di Adrien Borne sta nel modo in cui segue l’integrazione di un adolescente tra gli adulti, trascinandolo nella ricerca ossessiva di un padre di cui non sa nulla – un padre immaginario, che potrebbe essere il medico autoritario, il compagno di stanza capriccioso e invadente: un padre a cui chiedere il motivo dell’abbandono, un padre la cui storia è stata negata al figlio.
C’è molto da cui ribellarsi
C’è da precipitare, da ribellarsi, da negarsi la felicità e marcire nel sanatorio. Ma la malattia, come i tormenti che lo affliggono fin dall’infanzia, a volte allenta la sua morsa. Impara ad amare una artista che dipinge il mistero della fede, della fedeltà e della speranza. Ma la speranza di un miracolo è destinata a spegnersi. La morte è in agguato.
Al di là della promessa dell’eternità, tutto ciò che conta è la traccia del passaggio di coloro che hanno contato, di coloro che non sono nulla ma la cui memoria non può essere discussa.
Saltando da un’epoca all’altra, osservando il declino dei sanatori e la loro fine, Adrien Borne evoca la catastrofe e i drammi umani che hanno segnato la storia di Assy. Con uno stile più vivace o più lento a seconda delle circostanze, porta i suoi personaggi lassù, in montagna, dove il tragico delle situazioni è la precarietà della vita, l’occultamento della verità, l’ingiustizia dell’oblio.
Essere contagiosi significa trasferirsi su un’isola, “mettersi da parte”, progredire ai margini delle persone sane. Significa vivere fino in fondo un’esperienza di rottura, di messa in discussione, ma anche di elevazione del pensiero, di ricostruzione di una vita in comunità. Significa anche lottare contro il male per sopravvivere, apprezzare i segni di umanità, meritare il sacrificio di una madre, lasciare una traccia nel cuore di una persona viva.
E significa prendersi cura degli amici perduti, conservare il ricordo delle loro maschere, anche se sono scomparse; significa non distogliere lo sguardo da un corpo sofferente. Significa rispettare la loro dignità. E infine, significa impregnarsi dello spirito del luogo in cui aleggiano per sempre le anime di tanti malati sconosciuti.
L’isola misteriosa di Adrien Borne contiene abbastanza tesori per non essere dimenticata.
L’ÎLE DU LÀ-HAUT, di Adrien Borne, Éditions JC Lattès, 2024






