Riproduciamo il discorso di Emmanuel Carrère alla consegna del premio Grand Continent, per il suo libro Kolkhoze, al Piccolo Cervino, a 3.883 metri di altitudine, il 6 dicembre 2025.
Ve lo proponiamo per la lettura il giorno di Natale.
Il discorso, pronunciato in lingua francese, è già apparso su Le Grand Continent e lo ripubblichiamo per gentile concessione.
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È la prima volta che tengo un discorso in cima alle Alpi, quindi cercherò di essere stimolante. Un discorso pieno di speranza. Iniziamo.
Il punto di partenza di questo discorso pieno di speranza starebbe nella constatazione che oggi esistono due modi di vedere le cose: uno relativamente ottimista e uno radicalmente pessimista. I relativamente ottimisti ritengono che l’umanità stia attraversando una fase di caos tragico e spaventoso, ma che questo sia già successo nella sua storia e che sarà superato. I pessimisti radicali credono che un tale caos non sia mai accaduto prima e che questa non sia una fase: è la fine.
Il principale e, a mio avviso, unico argomento a favore dell’approccio relativamente ottimista è che, fin dagli albori dell’umanità, ci sono sempre state persone che dicevano che le cose erano migliori prima e che la fine del mondo era imminente. Un grande studioso latino, Lucien Jerphagnon, ha scritto un libro molto divertente che è un’antologia di queste angosciose previsioni nel corso della storia romana. Niente di nuovo sotto il sole: sarebbe rassicurante.
Tuttavia mi sembra ovvio che non sia vero, non è sempre stato così. Anche se consideriamo invariabile la propensione dell’uomo all’angoscia, queste sue ragioni di angoscia sono nuove e indiscutibili. Non ci vuole una grande intelligenza o conoscenza per elencarli. Il primo è che siamo otto miliardi sul pianeta e siamo troppi, semplicemente troppi, e altri motivi di ansia da ciò derivano.
Primo: il disastro ecologico è ormai irreversibile. Due: la crisi migratoria. Una buona metà del pianeta sta diventando inabitabile, quindi gli abitanti di quella metà vogliono trasferirsi nell’altra metà, il che è legittimo, e gli abitanti dell’altra metà dicono che non c’è più posto, che la barca è piena, e anche il loro punto di vista è legittimo. Terzo: l’intelligenza artificiale, che sta per divorarci ma non sappiamo ancora come e in che misura: è il fenomeno più imprevedibile, quello che ci sta portando verso un’incognita radicale. Possiamo aggiungerne un quarto, che è la fine della democrazia, la fine di tutti i nostri valori, ma questo è meno importante perché riguarda solo noi e nessuno al di fuori di noi sembra considerarlo una grande perdita.
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Ho detto che non è necessario essere molto intelligenti o molto informati per essere consapevoli di tutto questo. Ma allo stesso tempo, essere molto intelligenti e informati aiuta. Non sappiamo bene a cosa aiuti, ma aiuta lo stesso. Aiuta avere una consapevolezza sia più ampia che più fine di ciò che sto descrivendo a grandi linee. Si chiama consapevolezza storica, si chiama pensare fuori dagli schemi. Anche nella situazione della rana che viene cotta lentamente in pentola e che solo a poco a poco scopre cosa le sta succedendo, è comunque bene capire.
Come scrittore, è questo che vorrei fare: capire, capire un po’ meglio e dare una parvenza di forma a ciò che ho capito. Sento che è mio compito professionale provarci, almeno provarci. Ci sono libri che mi aiutano a farlo, pensatori e soprattutto narratori, perché credo nella narrazione più che nell’argomentazione. Molto tempo fa ho scritto una biografia di Philip K. Dick, morto nel 1982 ma che ha raccontato tutto quello che ci è successo dopo con una preveggenza e una precisione da incubo che lo rendono ancora oggi una bussola. Il nostro mondo è diventato il suo; noi viviamo nel mondo di Dick.
Ci sono altri che ci aiutano, non a uscirne – non ci credo – ma a tracciare la mappa di questo labirinto senza via d’uscita. Qui ci sono almeno due di questi mappatori del labirinto, che ammiro e che leggo con l’impressione di imparare qualcosa, di capire qualcosa: il mio amico Giuliano da Empoli, sui volti contemporanei del potere, Benjamín Labatut sulle luci cieche che rendono ancora più buie le nostre tenebre.
Trovo anche istruttivo leggere Le Grand Continent. È scritto da persone intelligenti e informate, e anche da giovani. Forse è per questo che sono più ottimisti di me. Non escludono la possibilità che, secondo le parole di Hölderlin, così spesso citate nei manuali di auto-aiuto di alto livello: “Dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva“. E visto che sono così intelligenti e ben informati, non posso escludere del tutto che abbiano ragione. Che ne sappiano più di me.
Se la lucidità fosse un motivo di speranza, sarebbe una buona notizia. Ed è bene celebrarla, anche se ci si crede solo per metà, o per un quarto, in cima alle Alpi, con -15 gradi.
Vi avevo promesso un discorso pieno di speranza. Grazie per avermi ascoltato. Grazie per questo premio.
Al Piccolo Cervino, il 6 dicembre 2025
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