Al cuore del Sacro Monte di Varallo la travolgente Cappella della Crocifissione, opera di Gaudenzio Ferrari, vale da sola una visita
Il Sacro Monte di Varallo sorse a partire dalla fine del XV secolo per volontà del frate francescano Bernardino Caimi che intese ricreare i luoghi santi della Palestina a beneficio dei pellegrini.
Dichiarato dall’UNESCO nel 2003 patrimonio dell’umanità, il Sacro Monte è uno di quei luoghi dove è bene ritornare più volte, tanta è la sua ricchezza artistica.
La Cappella della Crocifissione
Un modo diverso di visitare il Sacro Monte di Varallo, potrebbe consistere nel concentrare l’attenzione su una sola delle 45 cappelle che lo compongono: la Cappella della Crocifissione, opera del valsesiano Gaudenzio Ferrari (Valduggia 1475- Milano 1546), il maggiore degli artisti attivi nel Cinquecento sui territori oggi piemontesi ma allora lombardi.
Posata la prima pietra probabilmente nel 1515, nell’estate del 1521 la cappella è aperta al pubblico. Lo attesta la più antica delle molteplici iscrizioni rinvenute, la data seguita dal nome (il cognome è incompleto) incisa su una parete da un pellegrino, tale Giovanni Giacomo AL.
Non è certo che Gaudenzio sia stato anche l’architetto della cappella, ma la rispondenza dell’ambiente alla scena raffigurata – la continuità fra le pareti e fra queste e la volta del soffitto – sembra suggerirlo.
Scultura e pittura nella Crocifissione al Sacro Monte di Varallo
La tecnica narrativa impiegata al Sacro Monte combina scultura e pittura. A tale fine i lavori compresero la realizzazione di un forno per le statue di terracotta. Queste, dopo essere state modellate, venivano svuotate e sezionate per la cottura, quindi ricomposte, stuccate, dipinte e decorate.
Semplificando, nella Crocifissione la statuaria è impiegata per le figure appartenenti al racconto evangelico – Cristo e i ladroni, la Madonna e le pie donne, san Giovanni, i soldati romani a cavallo e a piedi. Invece ad affresco lungo le pareti sono raffigurati con una grande capacità di imitare il vero, nelle fisionomie come nei sentimenti, coloro che assistono all’evento, persone del popolo, gruppi di notabili, soldati. E con la particolarità che si tratta di spettatori dell’epoca, ossia cinquecenteschi, riconoscibili per via degli abiti moderni che indossano.
Tessuti dipinti e tessuti veri
Al fine d‘incrementare l’integrazione fra pittura e scultura, negli affreschi le vesti e le armature dei personaggi e i finimenti dei cavalli si arricchiscono di decorazioni a rilievo, mentre le statue si avvalgono di veri accessori di tessuto. Il cavallo bianco del centurione al centro della composizione ha dei finimenti in raso rosso con motivo a palmette stilizzate blu e borchie in cartapesta dorata.
Invece i finimenti del cavallo baio, condotto dal cavaliere romano a sinistra del Cristo in croce, sono realizzati assemblando ritagli di un prezioso e “antico” (quattrocentesco) velluto di seta blu operato, ossia con un disegno che si riconosce essere quello del frutto del melagrano. Nella parte più protetta, il sottopancia, il colore ha mantenuto la sua intensità e luminosità. La scena della morte del Cristo è ambientata in un paesaggio di montagna d’ispirazione locale. Ma in uno scorcio Gaudenzio Ferrari introduce una nota esotica, una carovana di cammelli.