Sin dalla scorsa domenica 31 marzo, il Museo delle dogane sul confine italo-svizzero ha riaperto le sue porte al pubblico per una nuova stagione espositiva 2024 ricca di novità. Sito sulle rive del Lago di Lugano, nel comune di Cantine di Gandria, il polo storico-etnografico è stato fondato nel 1949 per raccontare la storia delle frontiere attraverso oggetti in passato trasportati dai contrabbandieri o utilizzati dal personale doganale.
Darrin Zammit Lupi: “Migrazione”
La prima esposizione allestita dal Museo delle dogane svizzero dopo la pausa invernale è stata “Migrazione” di Darrin Zammit Lupi, parte delle celebrazioni per il trentesimo anno di attività della sede svizzera dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Fotoreporter per il “Times of Malta” e il “The Malta Independent” nonché corrispondente freelance per “Reuters”, nei passati 30 anni egli ha immortalato alcuni degli episodi più salienti riguardanti le guerre in Bosnia e Kosovo, lo tsunami nel Sud-Est asiatico e il conflitto in Libia.
Più di recente, egli si è occupato delle crisi migratorie nel Mar Mediterraneo, presentando impressionanti immagini a mostrare tutti gli aspetti positivi e negativi che connotano la migrazione. Dalla fuga e dal salvataggio alla paura e al dolore, dalla privazione alla gioia passando per la fiducia e la speranza, i suoi scatti hanno il potere di lo sguardo e stuzzicare così la riflessione e l’introspezione.
Il Museo delle dogane svizzero e la CITIES
Oltre alla mostra di Darrin Zammit Lupi, visitabile sino alla prossima domenica 20 ottobre, il Museo delle dogane svizzero ospiterà quest’anno anche una rinnovata esposizione sulle specie protette dalla CITES. Siglata da 184 Paesi a Washington il 3 marzo del 1973, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora selvatiche minacciate di estinzione si configura quale impegno nella protezione di oltre 5 mila animali e 28 mila vegetali dallo sfruttamento eccessivo.
L’esposizione mette in luce la concreta minaccia di estinzione che affligge alcuni rappresentanti della biodiversità globale attraverso il suggestivo e a tratti forte paragone negativo tra la specie e la ragione del suo sfruttamento. Ne sono un esempio le provocatorie associazioni tra la ricostruzione a grandezza naturale di un ghepardo e una vistosa borsetta rivestita di pelliccia o ancora la statua di un elefante a osservare una teca ricolma di oggetti in avorio.
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