Una fortunata coincidenza astrale sta portando in Valle d’Aosta, da due anni, almeno 130 personalità a discutere di futuro e di Europa, del Grand Continent che si estende anche oltre, all’Occidente nel suo insieme.
Il Summit si è tenuto a Saint-Vincent il 4 e 5 dicembre, con una anticipazione di due eventi ad Aosta e una successiva giornata allo Skyway al Monte Bianco, in cui avviene la premiazione di un’opera letteraria europea che merita di essere tradotta e letta in più lingue.
Nelle Alpi, vi sono altri eventi di questo genere, il più noto è quello di Davos, ma in passato anche la Savoia aveva accolto grandi incontri. Nell’epoca della guerra fredda, si proponeva come luogo di dialogo est-ovest. Ginevra e Losanna sono altre città note per ospitare incontri e summit.
Le ragioni del summit le Grand Continent in Valle d’Aosta
Il fatto che si tenga in Valle d’Aosta è dunque solo in parte una novità, ma l’evento presenta anche delle ragioni di fondo.
Il successo del summit riposa da un lato sulla buona idea di un evento dedicato all’Europa, che non c’era, e dall’altro sulla qualità dei contenuti della rivista Le Grand Continent.
Nata da un gruppo di giovani studenti delle grandi accademie di Parigi, tra cui vi era Gilles Gressani che oggi la dirige, è una sede di riflessioni di anticipazione che sono sul pezzo e sono autorevoli. Azzecca i temi, svolge approfondimenti che una volta uscivano sulle riviste cartacee a mesi di distanza. Con il digitale e una buona rete di contributori di alto livello, Le Grand Continent parla con una voce alta, ascoltata.
Così, le personalità affluiscono al summit. La Regione Valle d’Aosta, ma anche altri partner, sostengono l’iniziativa, e fanno molto bene. Per la Valle d’Aosta è un’occasione di valorizzazione di alto profilo, come sede di un evento importante e stabile. Al Summit di Le Grand Continent si sono viste televisioni europee, ci sarà un programma diffuso su una rete nazionale francese, molti giornalisti di testate europee raccolgono interviste.
Sono molti anche i giornalisti presenti, tra cui, per dare un’idea, Yaroslav Trominof del Wall Street Journal, Rana Foroohar ed Henry Foy del Financial Times, Barbara Moens di Politico, Rachel Donadio di The Atlantic, Stanley Pignal dell’Economist, Andrea Rizzi di El Paìs, Katrin Bennhold del New York Times, Federico Fubini del Corriere della Sera.
Chi c’era
E poi ci sono le personalità e abbiate pazienza se ne facciamo un parziale elenco. Anche in mezzo alla crisi di governo francese, c’era Edouard Philippe, che è a capo di Horizons (uno dei partiti della ex-maggioranza del presidente) ed ex-primo ministro. Era vicino a Paolo Gentiloni, fino a poco fa commissario europeo all’economia, così come Josep Borrell, ex-alto rappresentante e vicepresidente della Commissione europea.
C’era il ministro degli affari esteri spagnolo José Manuel Albares, Laurence Tubiana, negoziatore degli accordi di Parigi sul clima del 2015, il ministro delle finanze ucraino Serhii Marchenko, Kristina Kallas, ministra dell’educazione e della ricerca dell’Estonia, Cecilia Nicolini ex-ministra dell’ambiente dell’Argentina, Brando Benifei (S&D) dal parlamento europeo, Igor Mally, ministro degli affari europei della Slovenia. E poi ancora Josez Siklea da poco Commissario europeo per i partenariati internazionali, Elisabeth Baltzan, dell’ufficio esecutivo del presidente Biden, consigliere per commercio e investimenti, Pascal Lamy, il grande protagonista degli accordi di libero scambio, al WTO e alla Commissione europea, l’ex-commissario Johannes Hahn, e altri.
C’era l’ambasciatore Giampiero Massolo, ora in Mundys, Markus Kerber, ex-capo della Confindustria tedesca, Helman le Pas de Sécheval, segretario generale di Veolia, un po’ di professori, Ian Garner e Adrian Vermeule di Harvard, Francesco Giavazzi della Bocconi, Barry Eichengreen di Berkeley, David Edgerton del King’s College di Londra e poi dal Martens Center o dalla London School of Economics.
Il senso e la cornice di discussione
Il summit ha senso anche per la cornice di discussione che propone. Secondo Le Grand Continent, stiamo attraversando una specie di interregno, con trasformazioni profonde.
Da un lato, c’è il mondo che abbiamo conosciuto, multilaterale, di libero scambio, orientato alla pace malgrado le tensioni, forse americana, forse motivata dal commercio. E’ un mondo che si è rotto, e dall’altro c’è un mondo ancora sconosciuto, di cui si vedono i tratti, ma che certamente presenta crisi gravi e ne annuncia altre che fanno ancora più paura.
La chiave del Summit è di cominciare a vedere se ci sono concetti e strumenti con cui affrontare questo nuovo mondo. Per dirne una che è emersa in biblioteca ad Aosta, in uno degli eventi di anticipazione del 3 dicembre, è ormai poco utile provare a smontare la disinformazione, per esempio con il fact checking, che non si fila nessuno.
Siamo in una guerra informativa, e l’Europa deve combattere ad armi pari. È lo stesso concetto che riguarda il commercio, a cui faceva riferimento anche in passato, Pascal Lamy, riguardo ai possibili dazi futuri di Trump: l’Europa non può essere l’unico erbivoro in un prato di carnivori.
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