Dopo il Comitato frontaliero di Nizza del 6 febbraio – che avrebbe dovuto chiarire un po’ di cose – sul raddoppio del traforo del Monte Bianco si è percepita una certa confusione. Appena chiusi i lavori ad alcuni è parso che si potesse costituire un nuovo gruppo di lavoro e prevedere a termine la realizzazione della seconda canna.
Il 14 febbraio il ministro francese dei trasporti, Philippe Tabarot, in risposta una lettera del deputato Xavier Roseren ha chiuso l’argomento, dicendo che il governo francese non ha cambiato idea, e rimane contrario alla realizzazione della seconda canna. Ecco i due documenti.
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A Nizza, solo una proposta italiana nel silenzio francese
A Nizza, al Comitato frontaliero, il ministro italiano degli esteri, Antonio Tajani, aveva detto (e ripetuto) di aver presentato la proposta di costituire un gruppo di lavoro tecnico “per valutare il da farsi” rispetto a 24 anni di lavori e chiusure integrali per tre mesi all’anno. In sottinteso, il gruppo avrebbe dovuto appunto valutare l’ipotesi di costruire una seconda canna.
Forse per cortesia diplomatica, i rappresentanti francesi, il ministro dell’Europa e degli affari esteri Jean-Noël Barrot e il ministro dei trasporti Tabarot non si erano espressi al riguardo.
Anche con i giornalisti, Tajani aveva detto che la parte italiana aveva “avanzato la proposta”, ma dai due ministri lì accanto v’era stato silenzio.
Poi la confusione
La delicatezza francese nell’evitare di esprimersi direttamente in modo contrario ha lasciato forse qualche dubbio. Una nota di AFP (Agence France presse), riportata integralmente da Le Soir il 7 febbraio ha confermato l’aspettativa, spiegando che i ministri “hanno anche annunciato l’avvio di un comitato tecnico”.
L’informazione è stata rilanciata il 7 febbraio da Le Figaro, dal Dauphiné Libéré, e da molta stampa regionale, come Le Républicain Lorrain, La Provence, e, l’8 febbraio, da France 3. In Italia, la nota della principale agenzia di stampa, ANSA, aveva citato il ministro Tajani, che parlava di “proposta italiana”. Vari organi di stampa nazionali e locali, come La Stampa, avevano comunque ripreso alcune sue parole interpretandole come decisione comune.
La Francia rimane contraria al raddoppio del Monte Bianco, e il gruppo di lavoro è un altro
Il sindaco di Chamonix, Eric Fournier, presente al Comitato frontaliero di Nizza, non aveva sentito – come noi – parole di accordo francese alla proposta italiana per un gruppo tecnico.
Dopo la nota di AFP del 7 febbraio, diversi esponenti politici della Vallée de l’Arve e dell’Alta Savoia si sono parlati, per capire. Il 12 febbraio, Le Dauphiné libéré riportava la posizione contraria di Fournier, che tra l’altro parlava non di 24 anni di lavori ma al massimo di 8-10 anni. Intanto, già l’11 febbraio, Xavier Roseren, deputato dell’Alta Savoia, scriveva al ministro dei trasporti Philippe Tabarot per chiedere delucidazioni, come si legge nei due documenti che abbiamo pubblicato qui sopra.
Il ministro ha confermato che la posizione francese sul raddoppio del Monte Bianco non è cambiata e rimane contraria. Non esiste un nuovo gruppo tecnico di lavoro. Al massimo, a Nizza è stato citato quello costituito già nel 2023 da un esperto italiano e uno francese per una riflessione globale sui collegamenti alpini, sulla resilienza delle infrastrutture e sulla decarbonizzazione dei trasporti stradali. Un’altra cosa dunque.
La qualità dell’aria
In questa vicenda il primo argomento è sulla qualità dell’aria, con sensibilità nettamente diverse in Italia e in Francia.
Diverse strutture tecniche pubbliche e vari uffici nelle comunità locali e nei comuni stanno sorvegliando la qualità dell’aria. Un piano in corso di attuazione (PPA Plan de protection de l’atmosphère) sta oggettivamente riducendo le emissioni, PM10, PM2.5 e NOx, con misure su diversi ambiti compreso il riscaldamento domestico.
Viceversa, sul versante italiano la sensibilità politica e quella dell’opinione pubblica rimangono poco interessate al tema. A Torino la qualità dell’aria è critica, l’infrazione alle norme europee permane, i piani sono ricchi di deroghe e di corridoi stradali esenti da limitazioni, per quanto alcune misure siamo comunque previste.
Questa differenza nel sentire è già un fatto culturale importante, che riduce le capacità di ascolto e di comprensione reciproca. In Francia sono temi portati da molte forze politiche, dal centro e dal centro-destra (come in Germania e in altri Paesi europei) mentre in Italia la corrispondente area politica al riguardo è fredda, se non contraria. In Valle d’Aosta e in Piemonte, l’attenzione sulla qualità dell’aria è sollecitata dalle forze politiche verdi oppure da associazioni, con minimo peso e influenza.
L’esempio del 21 gennaio 2025
Per fare un esempio, il 21 gennaio, il traforo del Fréjus è stato temporaneamente chiuso e il traffico dei mezzi pesanti si è spostato al Monte Bianco, con il risultato che si è passati da un media di 1700 di media giornaliera a 4454 mezzi pesanti, e un’attesa al traforo da un’ora e mezza a tre ore.
Per combinazione, nello stesso tempo un episodio di inquinamento aveva imposto con il PPA (piano di protezione dell’atmosfera) le restrizioni da allerta rossa, con riduzioni delle velocità sulle strade, divieto di lavori di manutenzione con strumenti non elettrici, o rinvio di lavori che producono polveri nei cantieri. Il collegamento percepito tra aumento del traffico pesante e peggioramento della qualità dell’aria era spontaneo.
Sono argomenti e casi che ritornano puntualmente nel dibattito pubblico e politico dell’Alta Savoia e in Francia, e che non sono neppure conosciuti sul versante italiano.
Inoltre, va notato che gli esponenti politici sembrano muoversi in modo compatto. Il deputato Xavier Roseren che ha scritto la lettera a Tabarot, già sindaco di Les Houches, Nicolas Évrard, sindaco di Servoz e nel passato segretario dell’associazione europea degli eletti di montagna, Eric Fournier sindaco di Chamonix e Jérémy Vallas, sindaco di Vallorcine lavorano da anni sulla centralità del tema della qualità dell’aria, che “richiede la mobilitazione di tutti”, come si leggeva in un editoriale a quattro mani della rivista della Communauté de Communes de la Vallée de Chamonix-Mont-Blanc.
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Qualche segnale dinamico
Sul tema del Monte Bianco, l’Italia – anche a livello locale – guarda alla Francia come controparte più che come partner, e svolge un’opera continua di proposta, in Conferenza intergovernativa oppure con documenti di posizione (sarebbe improprio chiamarli studi) a sostegno delle sue tesi, oppure con iniziative locali.
Questo batti e ribatti italiano, per quanto con poca propensione all’ascolto, snocciola argomenti, tra cui quello degli scambi economici tra i Paesi. L’11 ottobre, a Torino, all’epoca del pur breve governo di Michel Barnier, l’ambasciatore francese, in collegamento da Roma, ha letto un messaggio da cui si era inteso che di infrastrutture tra Italia e Francia si doveva parlare, e anche dell’evoluzione di quella del Monte Bianco.
Era molto poco, un segnale dal governo Barnier che non c’è più, e siamo adesso al passo indietro di Tabarot. D’altra parte, anche l’iniziativa valdostana di chiedere alle autorità francesi un parere sulla bozza di Piano regionale dei trasporti – che contiene la proposta di raddoppio del Monte Bianco – ha visto scadere i termini il 31 gennaio senza ricevere il contributo richiesto.
Al momento la situazione è quindi ferma, per quanto sul fondo possa cambiare in futuro.
I mezzi inquineranno sempre meno, il primato del trasporto italo-francese su ferro sembra ormai irreversibile sulla Torino-Lione e non potrà essere scalfito, il Monte Bianco, che si trova tra 1274 e 1381 metri di quota, sarà sempre meno competitivo per il trasporto merci negli anni a venire rispetto ai valichi meno difficili. Sono scenari ancora tutti da scoprire.
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