Da più grande produttore di riso dell’intera Europa, con circa 1,5 milioni di tonnellate lavorate ogni anno stando all’Ente Nazionale Risi, l’Italia teme oggi il rischio di estinzione di un cereale da anni sostentamento e simbolo del Paese. Questo a causa del periodo di grave siccità che ha colpito il Fiume Po nel 2022, che oltre a generare ingenti perdite di prodotto ha finito con il mettere in ginocchio più di un agricoltore.
La siccità
La siccità che ha afflitto e che affligge tuttora il Fiume Po si deve alla concomitanza tra temperature invernali sopra la media stagionale e scarsità di precipitazioni nevose. Come reso noto dallo studio effettuato dalla Fondazione CIMA, nel 2022 le risorse idriche nelle Alpi sono diminuite del -60% rispetto alla media del decennio precedente mentre quelle del 2023 sono arrivate al -63%.
“La rilevanza di questa carenza di neve sta nel fatto che essa rappresenta la riserva di acqua più importante nei mesi primaverili ed estivi per diverse attività, dalla produzione di energia all’agricoltura – erano state allora le parole del ricercatore e idrologo Francesco Avanzi -. La sua assenza non pone un problema nell’immediato ma in prospettiva poiché è tra marzo e aprile che l’aumento della temperatura determina la fusione della neve che in forma di acqua può essere impegnata per l’irrigazione”.
Il riso in Italia è a rischio estinzione
L’Italia produce annualmente circa il 50% del riso dell’intera Unione Europea, con campi coltivati ubicati prettamente sul territorio della Pianura Padana e specialmente in Piemonte. La regione, difatti, vanta circa la metà della superficie nazionale adibita ad agricoltura risicola e suddivisa tra Vercelli (70 mila ettari), Novara (30 mila ettari), Alessandria (8 mila ettari) e Biella (4 mila ettari); tra le varietà dotate di una Denominazione di Origine Protetta figurano “Arborio”, “Carnaroli,” “Baldo”, “Sant’Andrea”, “Balilla”, “Gladio” e “Roma”.
Come reso noto dall’Ente Nazionale Risi, tuttavia, la siccità che ha colpito il Paese nel corso del 2022 ha generato una perdita di 26 mila ettari di risaie nonché un calo di produzione di oltre il -30%; nemmeno l’anno passato la situazione è parsa in miglioramento, tanto da aver portato alla diminuzione di ulteriori 7.500 ettari di campi.
Stando a quanto spiegato alla rivista “Nature Italy” dal ricercatore nonché responsabile della genetica Filip Haxhari, la tipologia maggiormente interessata da tali problematiche è stata quella del “Carnaroli”. Delicato e pregiato, perfetto per assorbire condimenti e aromi che connotano il risotto tradizionale, questo riso è stato scoperto e immesso sul mercato nel secolo scorso. Tuttavia, la sua lavorazione ha subito un taglio negli anni passati a causa della mancanza di introiti sufficienti a coprire economicamente i lunghi processi che richiedono di discernere i chicchi migliori da quelli difettosi; le condizioni di coltivazione sono poi drasticamente peggiorate nel 2022, quando in Italia sono state registrate consistenti perdite sino alla metà degli ettari dedicati a questa varietà.
Ancora una speranza per il riso italiano?
Quella che il “The Guardian” ha definito come la “crisi del risotto”, ovverosia la concreta minaccia di estinzione che a oggi caratterizza il riso in Italia, ha spinto molti agricoltori locali a convertire la propria produzione a mais e ortaggi. Altri hanno invece adottato la cosiddetta “semina a secco”, tecnica che permette loro di utilizzare meno acqua e manodopera con il risultato però di rendere il terreno ancora più asciutto.
Haxhari e il suo team sono inoltre impegnati nel sviluppare nuove varietà di riso meno bisognose di irrigazione e attenzione e dunque maggiormente resistenti ai cambiamenti climatici. Tra di essi figura il cosiddetto “Nuovo Prometeo”, le cui radici verticali anziché orizzontali lo rendono capace di cercare l’acqua di cui abbisogna più in profondità rispetto alle tipologie concorrenti. Un suo difetto resta però lampante, la sua natura poco adatta alla lenta e delicata cottura del risotto, piatto simbolo della cucina italiana.
Proseguono comunque le ricerche dell’Ente Nazionale Risi, basate su di una banca di semi nata nel 1969 e oggi dotata di uno stoccaggio pari a 30 mila genotipi, di cui 1.600 conservati, ciò che la rende la più grande collezione in Europa. Oltre alla durevolezza, altre caratteristiche studiate in loco comprendono la capacità di combattere il freddo o i parassiti o ancora il basso indice glicemico.
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