Caterina Pizzato ci propone il racconto dell’arrivo del primo treno in Valle d’Aosta, ormai integrata nel Regno d’Italia, nel 1886. La descrizione è tratta dal suo L’apporto della Famiglia Reale allo sviluppo turistico della Valle d’Aosta da metà Ottocento al 1946, che pubblichiamo per gentile concessione.
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Prima dell’Unità d’Italia le strade ferrate si svilupparono in maniera frammentaria e dopo il 1861 la riorganizzazione venne affidata dallo Stato, che non disponeva dei fondi necessari, e alle imprese private, soprattutto straniere¹.
Nel 1861 la rete ferroviaria italiana era presente in Piemonte, Lombardo-Veneto, Toscana e nel Napoletano che vantava la costruzione della prima ferrovia, la Napoli-Portici del 1839 voluta da Ferdinando II di Borbone: si contavano in totale 2.189 chilometri di strada ferrata però privi di collegamenti tra i diversi poli industriali. Nel 1865 si raggiunsero i 5.100 chilometri per poi passare ai 9.300 nel 1880 sino ai 13.600 del 1890 e i 16.400 del 1900².
Uno dei bisogni più urgenti per la Valle d’Aosta a metà Ottocento fu la costruzione della ferrovia sia per motivi militari, in quanto zona di confine, sia per fini economici volti allo smercio dei prodotti dell’industria metallurgica ad un prezzo più concorrenziale e per dotare la regione di mezzi efficienti per il nascente movimento turistico: il treno era considerato un mezzo di progresso economico e di collegamento con l’Italia intera e il suo arrivo costituì una tappa fondamentale nella storia socioeconomica della regione e nello sviluppo urbanistico del capoluogo³.
La Sibérie de l’Italie
I giornali locali dell’epoca lamentavano spesso la mancanza di considerazione da parte delle istituzioni nei confronti della regione, dovuta alla sua posizione periferica: «Si Aoste est italienne elle est, au moins aux yeux du ministère depuis [18]48 surtout, la Sibérie de l’Italie. Elle est italienne aux yeux du ministère s’il s’agit de payer des impôts à l’égal de Verceil et de Turin; mais elle est pour lui une terre étrangère, une Sibérie, quand il est question de quelques faveurs»⁴.

Nel 1870, in occasione della discussione sulle convenzioni ferroviarie, i deputati valdostani Edoardo Giovanni Crotti di Costigliole⁵ e Louis Paris – nonostante l’opposizione dei Ministeri delle Finanze e dei Lavori Pubblici – riuscirono a far approvare al Parlamento l’impegno di accordare la concessione della strada ferrata Ivrea-Aosta⁶, costituendo un Comitato promotore per la sollecitazione dell’inizio dei lavori.
Il 16 agosto 1876 Re Vittorio Emanuele II incontrò al Castello Reale di Sarre la commissione per la ferrovia – composta dal Sottoprefetto Lucio Fiorentini, dal Sindaco di Aosta Laurent Carlon, dal Conte Verrais di Castiglione e dall’Avvocato Frassy – incaricata di presentargli il progetto di realizzazione della tratta e di ottenere l’appoggio del Re, con esito favorevole⁷.
Anche il nuovo sovrano Umberto I nel 1878 rassicurò i valdostani in merito alla volontà di realizzare l’importante opera, soprannominata la ferrovia del Re: «Mi piace oggi ripetere l’antica affezione che io sento per codesta Valle, naturale baluardo d’Italia. Il Re mio padre mi parlò spesso di codesti luoghi e dell’amore da cui era costì circondato. So che il mio governo presenterà un progetto per coronare i voti di codesta regione, dando incremento allo sviluppo delle sue naturali risorse. Il mio governo troverà in me sempre il migliore amico e fautore degli interessi che le Signorie Loro rappresentano»⁸ scrisse nella lettera al Comitato promotore della ferrovia.
Decisione e costruzione
Nel luglio 1879 il Governo italiano approvò la legge di riorganizzazione del comparto ferroviario nazionale e il 20 agosto fu finalmente deliberata la costruzione della tratta classificata come linea di seconda categoria e quindi da costruirsi a carico dello Stato con il contributo delle Province e dei Comuni interessati dall’opera.
La storia – o meglio la questione – della ferrovia Ivrea-Aosta fu molto travagliata sin dalla fase preliminare di progettazione: una volta scelto il percorso che costeggiava la sinistra orografica della Dora Baltea, che comportava minori spese e problemi tecnici, dal 1881 cominciarono gli appalti per la costruzione delle varie tratte, per la fornitura del materiale e per l’armamento delle stazioni. Il giornale dell’epoca L’Echo de la Vallée d’Aoste del 25 settembre 1885 annunciava l’apertura della tratta ferroviaria da Ivrea a Donnas affermando che era: «pur sempre una consolazione non dover più subire le due mortali ore e mezzo necessarie per percorrere in diligenza questo tronco di strada»⁹. Nel mese di marzo del 1886 la posa dei binari superò Châtillon e ad aprile raggiunse il capoluogo.
L’arrivo del treno ad Aosta nel 1886

«Déjà la veille et le matin de bonne heure les routes qui conduisent à Aoste étaient littéralement couvertes d’accourants»¹⁰: sin dalle prime ore del mattino di domenica 4 luglio 1886 una grande folla di curiosi si riversò lungo la strada di accesso alla stazione di Aosta¹¹ addobbata a festa con bandiere, orifiamme e graziose ghirlande di rami e fiori.
I cittadini, le autorità civili, religiose e militari assieme alla banda musicale attendevano con trepidazione l’arrivo del primo treno proveniente da Ivrea. Fu un evento eccezionale e memorabile per la Valle d’Aosta: per la prima volta veniva raggiunta dalla rete ferroviaria, riducendo sempre di più quella condizione d’isolamento che la contraddistingueva e quell’economia di sussistenza basata sull’agricoltura e sull’allevamento.
Il treno di parata, composto da ventotto vagoni trainati da due locomotive a vapore del gruppo 300¹², arrivò in stazione in ritardo di un paio d’ore, alle 13:25, trasportando trecento invitati in prima classe e cinquanta in seconda. Dopo la benedizione da parte del vescovo, Monsignor Joseph-Auguste Duc, venne inaugurato il monumento Au Roi Chasseur, Vittorio Emanuele II, seguito da un sontuoso banchetto da quattrocentodieci coperti, preparato dall’Hôtel Écu de France di Ivrea e servito nel cortile del Collegio Saint-Bénin.
Re Umberto I, scusandosi per l’assenza, inviò un telegramma¹³ e offrì ai commensali uno dei piatti più ricercati: il camoscio¹⁴. Alle 21 proseguirono i festeggiamenti e piazza Carlo Alberto, l’odierna piazza Emile Chanoux, colma di persone, venne illuminata a giorno da una moltitudine di lampade elettriche della ditta Frassati e da un abbagliante arco voltaico, mentre sulle montagne vennero accesi i tradizionali falò generando uno spettacolo inconsueto per gli ospiti forestieri. Aosta fu la prima città del Regno a vantare un sistema d’illuminazione elettrica urbana.
68 chilometri e quattro coppie di corse
La lunga attesa si era finalmente conclusa: la rete ferroviaria, lunga circa sessantotto chilometri e gestita dalla Rete Mediterranea, apriva la regione al commercio nazionale e le maggiori facilità e velocità negli spostamenti e nelle comunicazioni accorciavano le distanze con le città di Ivrea e Torino, incidendo sia sull’aspetto economico che sulle condizioni di vita, favorendo i flussi immigratori e lo sviluppo del nascente turismo.
Il servizio ferroviario disponeva di quattro coppie di corse giornaliere destinate ai passeggeri e due coppie di convogli merci: i tempi di percorrenza della tratta Ivrea-Aosta erano ridotti a circa due ore e mezza – oggi la si percorre in un’ora – rispetto alle otto ore (con tre ricambi dei quattro cavalli) impiegate prima con la diligenza.
I treni viaggiatori avevano una velocità d’impostazione di 45 km/h, mentre quelli merci di 25 km/h. L’apertura al commercio nazionale favoriva inoltre la penetrazione di prodotti agricoli e minerari italiani ed esteri, spesso disponibili a prezzi più bassi e concorrenziali, ma il limite principale della ferrovia valdostana era – ed è tuttora – l’assenza di un collegamento transalpino con la rete ferroviaria svizzera e francese e quindi, di uno sbocco internazionale.

Il treno come professore di lingua italiana
La nuova tratta contribuì anche alla diffusione della lingua italiana in questo angolo delle Alpi e non a caso, all’arrivo del treno inaugurale il giornalista e politico di Verrès François Farinet levò il cappello alla locomotiva esclamando: «Messieurs, voilà le professeur!»¹⁵.
La ferrovia era considerata dai valdostani come un simbolo di speranza, di riscatto sociale e di rinascita economica verso una vita migliore: «Jamépi de misère!» scriveva l’abbé Jean-Baptiste Cerlogne nella poesia Lo Tzemin de fer (1886) in patois dedicata alla ferrovia, esprimendo il sogno di tutta la popolazione di vivere in condizioni migliori, senza mai più patire le pene della miseria¹⁶.
Pochi giorni dopo l’inaugurazione della tratta il Direttore generale della Rete Mediterranea comunicò al Sindaco di Aosta l’iniziativa di un “treno speciale di piacere” diretto ad Aosta il 25 luglio 1886 con un discreto numero di escursionisti provenienti da Milano e Torino, chiedendo di rendere più gradito e comodo il soggiorno attraverso servizi di vetture, gite organizzate, guide e alloggi privati da mettere a loro disposizione¹⁷.
«Hélas! Le proverbe des moutons de Panurge»¹⁸ – si legge in una cronaca locale – si applicava bene ai primi turisti giunti in Valle d’Aosta con il train de plaisir si déplorablement organisé¹⁹: non vi hanno potuto apprezzare nulla a causa della fretta dei soli tre giorni di soggiorno e della scarsa organizzazione, anche perché, a parte Courmayeur, le altre località non erano ancora pronte ad accogliere il nascente turismo.
Il genio ferrovieri e la tratta fino a Pré-Saint-Didier

Nel 1915 la gestione della Chivasso-Aosta venne affidata al Sesto Reggimento Genio e le vecchie vaporiere vennero sostituite da macchine moderne come le locomotive del gruppo 625, soprannominate le Signorine per la linea leggera ed elegante, impegnate con gli accelerati e i merci leggeri, le 640 con i diretti e i servizi passeggeri veloci e infine le 645, dette le Rumene, in testa ai treni viaggiatori più lenti e ai merci più pesanti²⁰.
La linea Aosta-Pré-Saint-Didier, lunga trentun chilometri e mezzo e adibita al trasporto di passeggeri e merci²¹, venne inaugurata quarantatré anni dopo, il 28 ottobre 1929, dopo due anni di lavori. La tratta, a trazione elettrica, gestita dalla Società Nazionale Cogne con la ragione sociale Ferrovia Aosta/Pré-Saint-Didier (F.A.P.), venne divisa in sei fermate e tre stazioni e costò all’incirca 22 milioni di lire.
La locomotiva inaugurale presentava due grandi aquile in gesso con il nastro tricolore tra gli artigli²² e una volta arrivata a destinazione venne accolta da una fastosa manifestazione in un clima di entusiasmo e rinnovata speranza, questa volta per l’Alta Valle²³.
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(in parte tratto da L’apporto della Famiglia Reale allo sviluppo turistico
della Valle d’Aosta da metà Ottocento al 1946, tesi di Laurea magistrale all’Università della Valle d’ Aosta, anno 2021, per gentile concessione di Caterina Pizzato). I titoli dei paragrafi sono stati aggiunti per la versione online.
Note
- L. Agostino, La ferrovia in Valle d’Aosta – Le chemin de fer en Vallée d’Aoste 1855-1931, Aosta, Musumeci, 1986, p.31.
- S. Maggi, Le ferrovie, Bologna, Il Mulino, 2003, pp.67-68.
- A. Castellani, S. Garzaro, La ferrovia in Valle d’Aosta. Da Torino ad Aosta e Pré-Saint-Didier, Desenzano del Garda, Editoriale del Garda, 2010, pp.33-34.
- L’Indépendant, anno XII, n.51 del 26/06/1860.
- Un busto in suo onore è presente sulla facciata della Maison Blanche in via Xavier de Maistre ad Aosta.
- Ivi.
- L’Echo du Val d’Aoste, anno V, n.33 del 18/08/1876.
- G. Corona, La Valle d’Aosta e la sua ferrovia. Lettere a S.E. il comm. G. Zanardelli, Biella, Tipografia G. Amosso, 1878, pp.117-18.
- L. Agostino, cit., p.35.
- L’Echo du Val d’Aoste, anno XV, n.28 del 09/07/1886.
- Anche la scelta per l’ubicazione della stazione di Aosta fu molto travagliata.
- Le locomotive 300, chiamate poi 650 FS, erano fra le più potenti della Rete Mediterranea.
- L’Echo du Val d’Aoste, anno XV, n.28 del 09/07/1886.
- A. Castellani, S. Garzaro, cit., p.46.
- Ivi, p.118.
- Abbé J.B. Cerlogne, Lo Tzemin de fer, Aosta, 1886, p.9, in L. Agostino, cit.
- A. Castellani, S. Garzaro, cit., p.55.
- La frase “i montoni di Panurgo” indica proverbialmente la pecoresca mentalità delle folle.
- L’Echo du Val d’Aoste, anno XV, n.31 del 30/07/1886.
- Ivi.
- Ivi.
- Ivi.
- Ivi.
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