Caterina Pizzato segue le tracce della costruzione dell’immagine della Valle d’Aosta nell’Italia post-unitaria con Giosuè Carducci, dopo il ritratto che ne fece la scrittrice e giornalista Matilde Serao. Il testo ripercorre i suoi soggiorni a Courmayeur e a Gressoney, e il suo avvicinarsi alla Regina Margherita.
Giosué Carducci nato a Valdicastello, in Toscana, il 27 luglio 1835 e morto a Bologna il 16 febbraio 1907 è stato premio Nobel per la letteratura nel 1906 e una figura culturale di spicco nell’Italia post-unitaria. Ebbe un trascorso repubblicano e antipapale – tra il 1860 e il 1870 – ma l’epoca della visita in Valle d’Aosta è più tarda: Carducci è ormai un poeta nazionale.
Nelle poesie e nei testi che dedicò alla Valle d’Aosta si ritrova lo spirito del tempo: la lettura delle Alpi viste da una dimensione distante, con il suo carico celebrativo e grazioso – tra acque, uccellini e imponenti vette – con note religiose, e con la costruzione dell’identità italiana. L’integrazione della Valle d’Aosta nel quadro nazionale – pur nel prevalente rispetto della toponimia – è importante, a partire dall’ode alla Regina Margherita che pronunciò poi il sindaco di Courmayeur, che non padroneggiava abbastanza la nuova lingua da poterla scrivere.

Il poeta toscano Giosuè Carducci (1835-1907) giunse a Courmayeur per la prima volta nel mese di luglio 1887 soggiornando all’Hôtel Royal, ritornandovi in seguito nelle estati del 1889, 1895 e del 1898. Egli rimase subito affascinato dalla cittadina e dalle sue imponenti montagne, lasciandosi ispirare dalla poesia dell’alpe, dai colori, dai suoni della natura e dagli effetti di luce: solo qui era in grado di ritrovare quell’ardore e la spensieratezza della sua gioventù.
L’idioma gentile con Giosuè Carducci in Valle d’Aosta
Nell’agosto 1887 il primo cittadino Laurent Savoye gli chiese di comporre l’indirizzo di saluto a Sua Maestà in lingua italiana in quanto egli non era in grado di scriverlo correttamente: per la prima volta il Sindaco pronunciò il discorso di benvenuto alla Regina utilizzando l’idioma gentile.
«Augusta Signora,
Se in qualunque parte d’Italia, la presenza della Maestà Vostra è salutata e circondata dalla reverenza e dall’amore della Nazione, Ella è – mi condoni e perdoni l’ardita sincerità della parola – Ella è sempre più cordialmente la benvenuta in questo ultimo lembo del confine del Suo regno. Queste Alpi native, che ricordano tanti secoli di gentil fedeltà, pare che godano illuminarsi nel mite raggio della grazia e delle virtù che emana dalla maestà della loro nobilissima figlia.
Questi popoli alpini, che primi si addissero alla signoria della Vostra Casa, sono superbi che oggi, per la fede e il valore di Essa, per il volere di tutta Italia e non senza la devozione del loro sangue sparso in tanti campi di battaglia in servizio del Re, della libertà e della patria, la più bella corona d’occidente splenda in fronte alla degnissima nipote dei loro antichi sovrani. E però dai nostri cuori, o Signora, più alto, più vivo, più ardente sorge il voto: Dio conservi la prima Regina d’Italia, l’Augusta, la generosa, la pia Margherita di Savoia!».
Un’ora di colloquio con la Regina Margherita

La sovrana, dopo aver ascoltato con vivo compiacimento, entrò all’Hôtel Royal e pregò ad alta voce il Carducci, che se ne stava in disparte, di avvicinarsi, ringraziandolo per l’omaggio rivoltole per bocca del Sindaco, invitandolo nella sua dépendance, il Pavillon de la Reine, a bere una tazza di tè. Il poeta repubblicano capì di essersi involontariamente avvicinato alla monarchia, ma qualche tempo dopo si dichiarò soddisfatto di essersi adoperato a “far risuonare la lingua italiana anche nell’ultimo Comune d’Italia“.
Durante il colloquio, durato circa un’ora, la Regina gli presentò il figlio e gli chiese di leggerle alcune poesie delle Rime Nuove, tra cui la sua preferita Notte di Maggio, mostrando ammirazione: il poeta rimase commosso da tanta benevolenza, bellezza, bontà, gusto e cultura della sovrana dalla quale sentì in seguito la benefica influenza spirituale.
Nel 1889 tornò a Courmayeur soggiornando nella camera 12 bis dell’Hôtel Royal e il 27 luglio, festa patronale e 54° compleanno del poeta, dopo i caratteristici balli tradizionali della Badoche, venne offerto un pranzo in suo onore in albergo in compagnia di un gran numero di aristocratici commensali.
Ogni giorno passeggiava sino alla fonte Vittoria di Dolonne, dove beveva qualche bicchiere d’acqua, per poi proseguire al Colle d’Arp dove amava leggere e scrivere nella solitudine grandiosa delle Alpi e della Dora: qui compose le alcaiche Scoglio di Quarto, Il liuto e la lira e l’ode Alla Regina d’Italia.
Nel 1889 la Regina Margherita lo invitò a Gressoney-Saint-Jean dove alloggiò all’Hôtel Miravalle e vi ritornò anche nel 1895 per assistere alla prima messa di commemorazione della morte del barone Luigi Beck Peccoz.
L’ostessa di Gaby
Sulla via del ritorno si fermò a Gaby e, colpito dal meraviglioso paesaggio, decise di pernottare al nuovo Hôtel dei Colli Vecchia e Mologna, dedicando un canto alla bella cascata di Niel. Il poeta si lasciò ispirare anche dalla graziosa figlia del proprietario, Marie Faustine Stévenin, e alcuni giorni più tardi le inviò il carme a lei intitolato, L’ostessa di Gaby, datato 27 agosto 1895 (lo stesso giorno in cui scrisse Mezzogiorno Alpino).
Il 24 agosto di quell’anno la celebre guida alpina di Courmayeur Emile Rey perse la vita in un’inesplicabile disgrazia sul Dente del Gigante e Carducci scrisse Esequie della guida E.R. proprio in ricordo del Prince des Guides, a testimonianza della grande stima nei confronti delle genti di montagna.
Con i suoi versi Giosuè Carducci contribuì alla promozione e alla consacrazione di alcuni luoghi valdostani che per secoli erano rimasti ai margini della conoscenza del resto della neonata Italia, imprimendoli per sempre nella letteratura e nella memoria collettiva.

Courmayeur
Courmayeur, 29-30 agosto 1889 in Odi Barbare
Conca in vivo smeraldo tra foschi passaggi dischiusa,
O pia Courmayeur, ti saluto.
Te da la gran Giurassa, da l’ardüa Grivola bella
Il sole più amabile arride.
Blandi misteri a te su’ boschi d’abeti imminente
La gelida luna diffonde,
Mentre co ‘l fiso albor da gli ermi ghiacciaï risveglia
Fantasime ed ombre muoventi.
Te la vergine Dora, che sa le sorgive de’ fonti
E sa de le genti le cune,
Cerula irriga, e canta; gli arcani ella canta de l’Alpi,
E i carmi de’ popoli e l’armi.
De la valanga il tuon da l’orrida Brenva rintrona
E rotola giù per neri antri:
Sta su ‘l verone in fior la vergine e tende lo sguardo,
E i verni passati ripensa.
Ma da’ pendenti prati di rosso papavero allegri
Tra gli orzi e le segali bionde
Spicca l’alauda il volo trillando l’aerea canzone:
Io medito i carmi sereni.
Salve, o pia Courmayeur, che l’ultimo riso d’Italia
Al piè del gigante de l’Alpi
Rechi soave! Te, datrice di posa e di canti,
Io reco nel verso d’Italia.
Va su’ tuoi verdi l’ombria de le nubi fuggenti
E va su’ miei spirti la musa.
Amo al lucido e freddo mattin da’ tuoi sparsi casali
Il fumo che ascende e s’avvolge
Bigio al bianco vapor da l’are de’ monti smarrito
Nel cielo divino. Si perde
L’anima in lento error: vien da le compiante memorie
E attinge l’eterne speranze.

Piemonte
Ceresole Reale, 27 luglio 1890 in Rime e Ritmi
Su le dentate scintillanti vette
Salta il camoscio, tuona la valanga
Da’ ghiacci immani rotolando per le
Selve croscianti:
Ma da i silenzi de l’effuso azzurro
Esce nel sole l’aquila, e distende
In tarde ruote digradanti il nero
Volo solenne.
Salve, Piemonte! A te con melodia
Mesta da lungi risonante, come
Gli epici canti del tuo popol bravo,
Scendono i fiumi.
Scendono pieni, rapidi, gagliardi,
Come i tuoi cento battaglioni, e a valle
Cercan le deste a ragionar di gloria
Ville e cittadi:
La vecchia Aosta di cesaree mura
Ammantellata, che nel varco alpino
Èleva sopra i barbari manieri
L’arco d’Augusto […].
L’ostessa di Gaby
Gaby (Issime), 27 agosto 1895 in Rime e ritmi
E verde e fosca l’alpe, e limpido e fresco è il mattino,
E traverso gli abeti tremola d’oro il sole.
Cantan gli uccelli a prova, stormiscono le cascatelle,
Precipita la scesa nel vallone di Niel.
Ecco le bianche case. La giovine ostessa a la soglia
Ride, saluta e mesce lo scintillante vino.
Per le fórre de l’alpe trasvolan figure ch’io vidi
Certo nel sogno d’una canzon d’arme e d’amori.
Esequie della guida E.R.
Courmayeur, 28 agosto 1895 in Rime e ritmi
Spezzato il pugno che vibrò l’audace
Picca tra ghiaccio e ghiaccio, il domatore
De la montagna ne la bara giace.
Giù da la Saxe in funeral tenore
Scende e canta il corteo: dicono i preti
– Le requie eterna dona a lui, Signore, –
– E la luce perpëtua l’allieti –
Rispondono le donne: ondeggia al vento
Il vessil de la morte in fra gli abeti.
Or sì or no su rotte aure il lamento
Vien dal mortorio, or sì or no si vede
Scender tra’ boschi il coro grave e lento.
Esce in aperto, e al cimiter procede.
Posta la bara fra le croci, pria
Favella il prete: – Iddio t’abbia mercede,
Emilio, re della montagna: e pia
Avei l’alma, e ogni dì le tue preghiere
Ascendevano al grembo di Maria. –
Le donne sotto le gramaglie nere
Co ‘l viso in terra piangono a una volta
Sopra i figli caduti e da cadere.
A un tratto la caligine ravvolta
Intorno al Montebianco ecco si squaglia
E purga nel sereno aere disciolta:
Via tra lo sdrucio de la nuvolaglia
Erto, aguzzo, feroce si protende
E, mentre il ciel di sua minaccia taglia,
Il Dente del gigante al sol risplende.
Nei giardini nei pressi del Comune di Courmayeur è presente un busto del poeta scolpito da Augusto Gheduzzi nel 1912 in ricordo dell’umile italiano, come soleva definirsi, accanto alle strofe «Salve o pia Courmayeur, che l’ultimo riso d’Italia al piè del gigante de l’Alpi rechi soave! Te, datrice di posa e di canti, io reco nel verso d’Italia».

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In riva al Lys
Gressoney- La-Trinité, 8 agosto 1898 in Rime e ritmi
A. S. F.
A piè del monte la cui neve è rosa
In su ‘l mattino candido e vermiglio,
Lucida, fresca, lieve, armonïosa
Traversa un’acqua ed ha nome dal giglio.
Io qui seggo, Ferrari, e la famosa
Riva d’Arno ripenso e il tuo consiglio;
E di por via la piccioletta prosa
E altamente cantar partito piglio.
Ma il Lys m’avvisa – Al nulla si confonde
Questo mio canto, e non se ne rammarca;
Pur di tanto maggior vena s’effonde.
Ond’io, la fronte di superbia scarca,
Torno al mio cuore; e a’ monti a l’aure a l’onde
Ridico la canzon del tuo Petrarca.
Villa Margherita
Il sole ti accarezzi coi suoi raggi
Le rose adornino le tue pareti
O mia villa diletta
Che avesti l’invidiato onore
Di albergare fra le tue mura
La Regina d’Italia Margherita.
Questa iscrizione in versi, visibile nell’atrio del Municipio di Gressoney-Saint-Jean, è stata composta da Giosuè Carducci in ricordo della presenza della Regina nella dimora dal 1889 al 1904, che da lei prese il nome.

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Credits
(in parte tratto da L’apporto della Famiglia Reale allo sviluppo turistico
della Valle d’Aosta da metà Ottocento al 1946, tesi di Laurea magistrale all’Università della Valle d’Aosta, anno 2021, per gentile concessione di Caterina Pizzato. Abbiamo aggiunto i titoli dei paragrafi, il titolo, qualche minimo aggiustamento per la lettura e con i grassetti. Alcune note di interesse sono inserite come incisi. Le immagini sono a cura della redazione di Nos Alpes).