New Horizons for the Alps – Ethnographies, Reshaping Challenges, and Emerging More-Than-Alpine Relations (Nuovi orizzonti per le Alpi – Etnografie, sfide di trasformazione e relazioni emergenti che vanno oltre l’ambito alpino) curato da Almut Schneider ed Elisabeth Tauber e pubblicato da Bozen-Bolzano University Press nel 2024, è proprio un libro da guardare, se non lo avete finora notato.
Contribuisce al dibattito sul futuro delle Alpi, dell’economia nelle stazioni di sci, dell’agricoltura di montagna, dell’abitare, su cui si parla molto e su cui vi sono molti e diversi programmi nazionali ed europei, oltre alle prese di posizione di esponenti politici del territorio, o di EUSALP.
Le montagne sono lette attraverso il lavoro di antropologi, con lo scopo di capire trasformazioni sociali, economiche e ambientali che interessano tutto l’arco alpino. L’intento è spiegato nell’introduzione. L’immagine che propongono è potente e riconoscibile: i nostri paesi di montagna, in particolare turistici, sono travolti per pochi mesi dall’arrivo massiccio di turisti, “nidi di vespe” rumorosi e affollati. Subito dopo arriva il silenzio, le case chiuse, le vie deserte.
È il ritratto di un ciclo che secondo Schneider e Tauber, una che lavora a Bolzano (Libera Università di Bozen-Bolzano) e l’altra in Vallese (HES-SO Valais-Wallis) logora comunità e territori, segno di squilibri che non possono essere letti solo in chiave economica.
Per Schneider e Tauber, l’etnografia è infatti un buon strumento per raccontare questi cambiamenti, perché capace di osservare le pratiche quotidiane, i saperi, i conflitti e gli immaginari.

Nativi e forestieri
Il volume si articola in tre sezioni. Nella prima, dedicata alle tradizioni antropologiche e agli approcci recenti, Pier Paolo Viazzo ricostruisce la storia degli studi alpini e i dilemmi che ancora oggi li accompagnano: il rapporto tra “nativi” e “forestieri” della ricerca, le gerarchie di saperi, le differenze tra valli vicine che possono sembrare mondi lontani.
Cristina Grasseni affronta la questione di “dove finiscano le Alpi”, interrogandosi su come la standardizzazione dei prodotti caseari trasformi pratiche e mobilità, e su come i confini tra montagna e pianura siano sempre negoziati.
Valeria Siniscalchi propone invece un confronto tra Alpi e Appennini, mostrando come i fenomeni locali vadano compresi dentro processi più ampi, economici e politici, e come le scale di analisi debbano continuamente spostarsi.
i paesaggi e l’agricoltura che cambia
La seconda parte entra nei paesaggi alpini e nelle “agri-culture” che li modellano. Špela Ledinek Lozej racconta la lunga storia dell’alpeggio di Krstenica, in Slovenia, seguendo i passaggi generazionali e la fatica di “tenere aperto” un paesaggio che altrimenti tornerebbe bosco.
Anna Paini porta la voce del Cadore, dove la scomparsa dell’agricoltura e l’avanzata del bosco sono vissuti dagli abitanti come segni di un disimpegno collettivo, prima ancora che come mutamenti naturali.
Almut Schneider osserva da vicino i piccoli agricoltori dell’Alto Adige e mette in luce la contraddizione tra ideali di autonomia e dipendenza reale da burocrazie e politiche agricole, mostrando come la modernizzazione industriale si innesti dentro pratiche di sopravvivenza quotidiana.
Guardare le Alpi da lontano per intravvedere il presente
La terza parte guarda le alpi da lontano tra cannoni sparaneve, le bolle di Verbier e Zermatt, i Sinti nelle Alpi orientali, e la Alpi come esempio del mondo attuale
Herta Nöbauer porta l’etnografia sui ghiacciai del Pitztal, in Austria, dove l’industria del turismo invernale si affida a cannoni sparaneve e gigantesche macchine per produrre il “white gold” industriale. Qui l’idea tradizionale che la modernità stia a valle e la tradizione in quota si rovescia: sono le alte quote a raccontarsi come spazi del progresso.
Andrea Boscoboinik e Viviane Cretton descrivono le nuove residenzialità stagionali e cosmopolite di Verbier e Zermatt, “bolle magiche” e “luoghi di forza” dove convivono migranti stagionali, proprietari di seconde case e comunità agricole multilocali. Elisabeth Tauber sposta lo sguardo sulle relazioni dei Sinti con la terra nelle Alpi orientali, oltre i nostri schemi basati sulla proprietà o sull’appartenenza territoriale: un richiamo a riconoscere presenze storiche rimaste ai margini della letteratura alpina.
Infine, l’epilogo di Werner Krauß propone di leggere l’arco alpino come scena eminente dell’Antropocene, dove si concentrano conflitti ecologici, sperimentazioni tecnologiche e assemblaggi umani e non umani.
Questo, per intanto, un breve profilo. Nos Alpes proverà a tornarci sopra.
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