A Cogne, in Valle d’Aosta, si trova un castello duecentesco, a cui non si fa normalmente caso, anche perché ben integrato nel centro del villaggio (Veulla). Caterina Pizzato ne traccia un profilo, per ricordare quanto patrimonio costruito abbiamo nelle nostre Alpi.
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Le prime tracce relative all’esistenza del Castello di Cogne, situato accanto alla chiesa parrocchiale, risalgono al 1191 quando il vescovo di Aosta Gualberto (Valberto) ottenne dal Conte Tommaso I di Savoia l’autorizzazione ad erigerlo.
Al suo interno venivano discussi i problemi e la comunità locale, al suono del campanile, si riuniva in udienza generale nella sala di Santa Caterina, alla quale era dedicata anche la cappella. A metà Settecento, dopo la visita di Carlo Emanuele III, perse la sua funzione difensiva, trasformandosi in una dimora residenziale. Dal 1865 la parte superiore della torre ospitò il primo osservatorio meteorologico alpino diretto dall’abbé Jean-Pierre Carrel, esperto alpinista e botanico, in contatto con l’osservatorio del Real Collegio di Moncalieri.
Vittorio Emanuele II nel 1873
Messo all’incanto nel 1867, il castello rimase invenduto sino al 1873 quando venne acquistato da Re Vittorio Emanuele II che da tempo si recava frequentemente nella vallata per le battute.
Lo adibì a palazzina di caccia e l’anno dopo fece costruire una scuderia attigua che poteva contenere una trentina di cavalli. Possedeva un corpo centrale quadrangolare e un altro adiacente di minori dimensioni: il primo piano venne adibito ad alloggio del sovrano, mentre il piano terra ospitava la grande sala d’armi dove il Re ascoltava i rapporti dei suoi guardiacaccia. Per seguire meglio gli affari di Stato richiese l’installazione di una linea telegrafica che entrò in funzione nel 1875.
I rapporti con gli abitanti di Cogne
Tra le azioni di munificenza reale, la comunità beneficava di una parte delle carni derivante dalle battute e della tanto attesa cerimonia della Dona.
Così veniva chiamato il rito di elargizione delle elemosine, tra le più disparate, al popolo che giungeva fino ai luoghi delle cacce reali per beneficiarne. (…)
D. Ramella, Amori e selvaggina. Vita privata di Vittorio Emanuele II, pp.189-90.
Un giorno a Valsavarenche, nei pressi di Vers-le-Bois, mentre il Re era intento ad elargire denaro alle famiglie per i rispettivi figli maschi, considerati future reclute per l’esercito regio, una donna precisò di essere madre pure lei, ma di sette femmine. Alla battuta del sovrano « Avec les femmes je ne conquiers pas l’Italie » replicò « Votre Majesté, il n’y a pas de soldat sans mère ! »: il Re, colpito dalla risposta, ordinò senza esitazione che anche quella sagace popolana beneficiasse della sua offerta.
Il giorno di riposo dalla caccia, dopo aver assistito alla Messa, Vittorio Emanuele II si sedeva sul piazzale della chiesa parrocchiale di Cogne dando udienza a tutti, interessandosi di ogni caso.
In seguito, assisteva al défilé delle tote del villaggio, vestite con l’abito tradizionale, e distribuiva personalmente i suoi aiuti: una lira agli adulti e mezza ai bambini . […]
Finita la messa, portava egli stesso la scranna in piazza, all’ombra e sedutovi cominciava la rassegna di tutto il villaggio che gli si affollava intorno. Discorreva in piemontese intercalandovi qualche sapida parola del gergo valdostano; e i sigari fioccavano in tal quantità che non pareva ne potessero tanti capire le sue saccoccie ed era chiaro che aveva pensato a provvedersene prima di lasciare il campo.
Le ragazze più vistose avevano tutte un nomignolo di sua invenzione corrispondente o a qualità fisiche o ad accidenti biografici. E a questa lanciava un’arguzia, a quella un nome che lo chiariva al fatto dei di lei piccanti secreti, a quest’altra pizzicava le gote, e honni soit qui mal y pense.
G. Giacosa, Novelle e paesi valdostani, p.17
L’ultima grande battuta di caccia con Vittorio Emanuele III
Nel 1913 Vittorio Emanuele III organizzò l’ultima grande battuta di caccia attorno alle vallate del Gran Paradiso facendo base alla “Palazzina reale”, come veniva chiamato il maniero all’epoca. La Regina Elena vi trascorse del tempo per pescare le trote nel torrente Grand Eyvia che scorre ai piedi dell’edificio.
Due anni dopo il Re decise di venderlo alla Società Ansaldo, proprietaria dell’acciaieria Cogne di Aosta e nel 1924 venne trasformato in albergo. Alla fine degli anni Novanta venne ceduto alla Regione Autonoma Valle d’Aosta che lo adibì a sede della biblioteca comunale e in parte a struttura alberghiera.
Sulla parete è posta una lapide del 1882 dedicata a Vittorio Emanuele II da parte del Club Alpino Italiano che recita: «Per gli aspri gioghi del Gran Paradiso, nei cimenti di alpestri caccie, mutata la Maestà regale nella alpigiana semplicità, porgeva raro esempio di vera grandezza».
In piazza Émile Chanoux, sempre a Cogne, sulla facciata della casa della famiglia Truc, è presente anche una meridiana realizzata nel 1903 dal capitano Enrico Alberto D’Albertis con un chiaro riferimento alle cacce reali: «Di ferro e ghiacci Cogne s’incorona. Delle caccie dei Re Cogne è Regina. Messaggiera del Ciel l’ora ti dona».
Credits
(in parte tratto da L’apporto della Famiglia Reale allo sviluppo turistico
della Valle d’Aosta da metà Ottocento al 1946, tesi di Laurea magistrale all’Università della Valle d’Aosta, anno 2021, per gentile concessione di Caterina Pizzato. Sono stati aggiunti i titoli dei paragrafi, il titolo, qualche minimo aggiustamento per la lettura e con i grassetti. Alcune note di interesse sono state inserite come incisi. Le immagini sono a cura della redazione di Nos Alpes)
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