La cooperazione sanitaria transfrontaliera in in Europa /2
In questa seconda parte, una carrellata di esperienze di cooperazione sanitaria transfrontaliera tra Francia e Spagna, Austria e Repubblica Ceca, Italia e Slovenia e altre.

Molte esperienze di soluzioni transfrontaliere per problemi sanitari hanno carattere puntuale e derivano da bisogni territoriali specifici, con vicende che si estendono su decenni, con proprie dinamiche. Il finanziamento europeo del programma Interreg è spesso stato decisivo per il loro successo, sia per il supporto economico sia per il senso di legittimità – l’idea di essere sulla strada giusta – che portava con sé.

Per esempio, lungo la frontiera greco-bulgara, sin dagli anni ‘90, dopo la caduta della Cortina di ferro, si è trattato di rispondere ai problemi delle zone isolate, in particolare a favore dei minori, anche per contrastare i fenomeni di abuso e di tratta delle persone. Dal 1996 è stata avviata un’iniziativa, che dura tuttora e che si è evoluta, nel progressivo superamento delle difficoltà socio-economiche, meglio focalizzandosi sui temi sanitari, per esempio con un maggiore impiego degli ambulatori mobili, ed estendendosi ad altri centri e alle aree urbane.

Nella continuità territoriale urbana dei due comuni di Gmünd, in Austria, e di České Velenice, in Repubblica Ceca, il bisogno individuato riguardava la distanza per gli abitanti cechi dal proprio presidio sanitario rispetto a quello austriaco, collocato a poche centinaia di metri dalle loro abitazioni. È stato dunque creato un procedimento, finanziato da Interreg, per la presa in carico nell’ospedale di Gmünd dei pazienti cechi di prossimità[1].

Allo stesso modo, nel bacino carbonifero della Lorena, sui due lati della frontiera franco-tedesca, si è osservato che la popolazione presentava alti tassi di mortalità dovuti a malattie cardiocircolatorie. È nata una cooperazione tra gli ospedali, in particolare delle cittadine francese di Forbach e tedesca di Völklingen, che ha mostrato quanto fosse complicato collaborare, pur con risultati positivi e visibili, in difetto di armonizzazioni europee e con basi nazionali giuridiche e tecniche dalle marcate differenze.

La cooperazione, già al livello dell’apprendimento e dell’adattamento ai rispettivi sistemi, ha comportato tempi relativamente lunghi e numerosi incontri e riunioni. Le differenze linguistiche hanno indotto a promuovere competenze bilingui nel personale, dunque al secondo livello di cooperazione, con soluzioni adattate a legislazione invariata, giungendo infine all’adozione di un accordo stabile di cooperazione. L’esercizio è riuscito soltanto a costo di circoscrivere strettamente il perimetro dei servizi disponibili – anche per ragioni di mobilità e rimborso. L’assistenza sanitaria è dunque al momento limitata geograficamente a un territorio ristretto e per i soli pazienti più gravi e urgenti[2].

Tra Polonia e Germania si è dovuto affrontare il tema della desertificazione sanitaria in zone frontaliere scarsamente popolate, con densità inferiore a 65 ab/kmq, con ospedali e servizi lontani. Anche per fornire supporto ai medici in zona di confine è stato avviato un ampio programma di telemedicina che attualmente coinvolge almeno 35 ospedali, una ventina tedeschi e quindici polacchi. La cooperazione si è progressivamente estesa alla collaborazione tra le stesse strutture, che si sono ripartite i compiti nei diversi ambiti, come nel consulto mammografico o in urologia, con periodiche riunioni dei medici specialisti dei due lati della frontiera interna[3].

In montagna, il problema dell’accessibilità ai servizi sanitari è poi spesso particolarmente grave. Nell’altopiano di Cerdagna, collocato a circa 1200 metri di altitudine nei Pirenei, in zona isolata e attraversato dalla linea di frontiera franco-spagnola, è nata l’idea di assicurare servizi sanitari e ospedalieri in modo congiunto, così da risolvere almeno in parte la desertificazione sanitaria e riunendo una massa critica capace di sostenerlo, circa 32 mila abitanti frontalieri a cui si aggiungono i turisti – fino a 150 mila presenze stagionali.

In questo modo, dopo un periodo di “apprendimento e adattamento” ai rispettivi sistemi sanitari e organizzativi, nel 2003 è stato realizzato uno studio di fattibilità per un ospedale transfrontaliero, al centro di un protocollo di collaborazione tra un livello statale decentrato e un livello regionale, cioè tra l’Agence Régionale d’Hospitalisation (ARH- LR), e il Servei Català de la Salut (CatSalut), il dipartimento del governo catalano competente in materia.

Con la dichiarazione congiunta del 19 marzo 2007 del ministro francese per la salute, Xavier Bertrand, e della ministra regionale per la salute della Generalitat de Catalunya, Marina Geli, ha preso avvio la realizzazione dell’ospedale transfrontaliero, che trovava una facilitazione nell’adozione del Regolamento GECT (Gruppo europeo di cooperazione territoriale) n. 1082/2006 per la creazione di strutture giuridiche pubbliche transfrontaliere, risolvendo un buon numero di ostacoli tecnici e organizzativi. L’ospedale è stato realizzato con circa 30 milioni di euro, finanziati al 60% dall’Unione europea, mentre sono seguiti investimenti in tecnologie e dotazioni mediche per ulteriori 10 milioni di euro[4].

Dell’ospedale di Cerdagna si è a lungo parlato nelle istituzioni europee come una buona pratica e un esempio riuscito: si tratta d’altra parte dell’unico caso in Europa di ospedale binazionale e gestito con uno strumento comune, il GECT. Tuttavia, i progressi compiuti sul campo continuano a confrontarsi con un quadro giuridico europeo che non può essere armonizzato per esplicita disposizione dell’art. 168 del TFUE.

In questo modo, ancora si pongono questioni nel trasporto dei pazienti con le ambulanze o riguardo ai medicinali. Fino a un ulteriore accordo franco-spagnolo[5], lo stesso trasferimento dei pazienti francesi deceduti nell’ospedale transfrontaliero, collocato in Catalogna a 1 km dalla frontiera, seguiva per il rimpatrio le norme internazionali, con maggiori costi e 3-4 giorni supplementari impiegati in procedimenti amministrativi[6]. Nei primi anni, ciò valeva anche per le nascite, con l’attribuzione automatica della nazionalità spagnola.

Nell’ambito delle centinaia di progetti transfrontalieri in materia sanitaria, numerosi si sono stabilizzati in convenzioni o strutture comuni.

Tra gli altri, vanno ricordati il GECT GO italo-sloveno tra Gorizia, Nova Gorica e Šempeter-Vrtojba, con un comune ospedale per le nascite e altri progetti collegati, il progetto NHL-ChirEx  di cooperazione interuniversitaria per la mobilità dei medici e del personale sanitario nella “Grande Région” franco-tedesco-lussemburghese, il progetto ALERT di prevenzione sanitaria e civile sui Pirenei di prevenzione sanitaria e civile, con un centro comune di soccorso transfrontaliero a Saint-Jean-Pied-de-Port, non lontano dal colle di Roncisvalle. E se ne contano numerosi altri[7].


Note

[1] Mario A. Pfannstiel, Axel Focke, Harald Mehlich, Management von Gesundheitsregionen II: Regionale Vernetzungsstrategien und Lösungsansätze zur Verbesserung der Gesundheitsversorgung,  Wiesbaden, Springer-Verlag, 2017 pp.34-37

[2] Convention transfrontalière en matière de cardiologie / Grenzüberschreitende Kooperationsvereinbarung im Bereich Kardiologie, Forbach, 19 marzo 2013. Si tratta dei casi classificati ST+, cioè quelli più gravi, definiti tecnicamente come infarto del miocardio con elevazione del segmento ST (infarto del miocardio trasmurale).

[3] Henning von Zanthier, Grenzüberschreitende Telemedizin zwischen Polen und Deutschland, Berlino, Ambasciata della Repubblica di Polonia, 2013

[4] Xavier Faure, Francis Decoucut, Jean-Jacques Romatet, Felip Benavent, L’hôpital de Cerdagne : premier exemple de création d’un service public hospitalier transfrontalier en Europe, in “Réalités industrielles”, agosto 2020, pp. 58-65

[5] Accord de coopération technique entre le Gouvernement de la République française et le Gouvernement du Royaume d’Espagne en matière de transfert des corps par voie terrestre des personnes décédées, firmato a Malaga il 20 febbraio 2017, nella versione francese in  JORF n. 0154 del 2 luglio 2017.

[6] Ousmane NDIAYE, Yves Gilbert, Vers un projet territorial de santé en Cerdagne, Communauté transfrontalière de santé en Cerdagne, Rapport d’activité 2018-2019 Projet ProspecTsaso, 2020.

[7] Tra i resoconti sulla cooperazione frontaliera europea in ambito sanitario, cfr. European Commission DG REGIO, European Cross-Border Cooperation on Health: Theory and Practice, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, 2017, nonché Olivier DENERT, La coopération sanitaire transfrontalière, Les Cahiers de la Mot, n.4, Parigi, 2004


Serie di sette articoli da un saggio di Enrico Martial nel volume “La cooperazione sanitaria transfrontaliera: sfide ed esperienze”, a cura di Raffaella Coletti e Gabrielle Saputelli, Roma, Giuffré 2022, in una collana del ISSIRFA del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR)

(segue domani)

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Direttore di Nos Alpes, giornalista. Ha collaborato in tempi diversi con varie riviste e giornali, da Il Mulino a Limes, da Formiche a Start Magazine.

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