Seconda parte del racconto di Jacques Martinet dedicata a Napoleone. Qui si parla di donne, dell’Ospizio del Gran San Bernardo e del Forte di Bard.
Dopo una breve sosta, il gruppo, si rimette in marcia e questa volta il tempo è dalla loro parte: il vento ha smesso di soffiare, la neve è cessata e il cielo inizia a schiarirsi.
– Quanto manca all’Ospizio?
– Saranno ancora due ore Capitano, ma con questa strada anche tre. Voi soldati lasciate il segno quando passate, basta vedere come avete ridotto il nostro piccolo borgo. Ma sa che le dico, per me è stato divertente vedere il vostro esercito ubriacarsi, e ghignare per le strade del nostro paese. Non è che succedono molte cose dalle nostre parti.
– Come vi chiamate?
– Io sono Pierre capitano.
L’ultimo pezzo dell’Armée continua la sua marcia, ma a un certo punto il mulo si inchioda.
– Non avevo dubbi. Ogni volta che arriviamo in questo punto la maledetta bestia si ferma. E devo dire che la capisco guardate che meraviglia.
Le montagne adesso si scorgono nitidamente, la neve depositata sulle vette ne dipinge i bordi distinguendole dal cielo grigio.
– Questo qui fa come vuole, come la mia donna. Continua Pierre.
– Siete sposato?
– Non ancora, capitano. Per sposarsi servono soldi e soprattutto una casa.
Il segretario Bourienne prova a stare al loro passo dall’inizio della marcia e sentendo il loro discorso si rivolge in maniera autoritaria e scontrosa alla guida.
– Lui è il Console, ignorante!
– Non c’è problema Louis, oggi il Console è il mulo e io sono il capitano.
Pierre sorride fiero e sprona la bestia a rimettersi in marcia.
– Ditemi, com’è la vostra signora, come si chiama?
– Eleonora, Capitano, ed è bella come il mulo. Risponde Pierre.
I due ridono di gusto.
– Però è brava sa. Se non ci fosse lei, io perderei la strada. Lei è quello che io sono per il mulo e a me sta bene così, come sta bene a questa bestia.
– Lei è un uomo simpatico.
– Anche lei, capitano. Molti soldati invece non sono stati simpatici nel villaggio, hanno distrutto e portato via molte cose, per questo io ho nascosto le mie. Già non possiedo molto.
– La capisco, risarcirò ogni danno, ve lo prometto.
– A me basta tenere i miei animali e accompagnandovi mi verrà consentito. Io vivo nel centro del borgo e la mia signora vive con la sua famiglia da un’altra parte, l’unica cosa che vorrei è una casa per stare insieme.
– Succederà presto, glielo assicuro.
– Nemmeno se vendessi i miei muli e tutta la mia conoscenza di questi sentieri, potrei permettermi una casa.
Il console sempre con il busto dritto guarda con simpatia la guida.
– E voi, capitano. Chissà quante donne avrete?
Bourienne stremato dalla fatica per l’incessante passo del mulo, ma con le orecchie ancora vigili, si intromette nuovamente sprezzante.
– Come vi permettete! Piuttosto di parlare continuate a guidarci che sono ore ormai che camminiamo.
Il Console alza un braccio come a dire al suo sottoposto di tacere.
– Le donne mi sono sempre piaciute devo ammetterlo, ma alla fine una sola ti ruba il cuore.
– Sante parole, capitano.
Dopo circa quattro ore e mezza di cammino l’Ospizio inizia finalmente a scorgersi. Ad attenderli c’è una parte dei soldati dell’Armée, molti abitanti curiosi e i monaci del monastero, e come vedono il piccolo drappello di uomini in lontananza li accolgono con gran calore.
– Non mi hanno mai ricevuto così da queste parti, dovevate arrivare voi Capitano. Napoleone guarda la sua guida sorridendo e scende dal mulo prima di infilarsi glorioso tra la folla. Pierre prende il suo animale e si defila per abbeverarlo e farlo riposare.
Sulla scalinata del monastero il canonico d’Allèves e Clavandier (amministratore temporale) dell’Ospizio dà il benvenuto al primo Console di Francia.
– Console Bonaparte è un piacere fare la vostra conoscenza. Siete ospiti di queste mura, e potete rimanere fino a quando vi andrà. Le chiedo solo la gentilezza di dire ai suoi soldati di essere cauti, perché il passaggio delle vostre truppe ha messo a dura prova questo ospizio, i nostri monaci e le nostre provviste.
– Non ci fermeremo a lungo. Fate un bilancio dei costi da voi affrontati per sostenere le mie truppe e come questa campagna sarà vinta, io vi risarcirò.
L’ultima parte dell’Armée, che ha appena attraversato il colle, si scalda davanti al fuoco all’interno del monastero, bevono il vino dei monaci e mangiano il loro cibo fino a saziarsi, godendosi un po’ di riposo.
Napoleone, dopo aver mangiato ed essersi scaldato, scambia due parole con il Clavandier.
– Ditemi, cosa sapete su quel forte? Il forte di Bard. Le mie truppe a quest’ora saranno in quelle zone e mi è giunta una lettera da un generale che si dice preoccupato da quella fortezza.
– Ho sentito dire che la sua posizione è molto strategica ma non so altro. Napoleone guarda deluso il monaco.
– Fatemi leggere qualcosa della vostra biblioteca, avete libri sul passaggio di Annibale?
– Certamente, quando volete vi accompagno personalmente. Pensate di fermarvi per la notte? Chiede il canonico cercando di non mostrarsi troppo preoccupato.
– Se il mio cappello sapesse cosa pensa la mia testa lo getterei nel fuoco.
Napoleone cerca con lo sguardo la sua guida tra i soldati e i generali, non vedendolo nel grande salone, chiede che fine abbia fatto.
– Pierre lo conosciamo bene, lui non ama le grandi compagnie. Secondo me si è già rimesso in viaggio. Risponde il Clavandier.
Napoleone esce dalla struttura, la folla si è sciolta e in lontananza scorge Pierre in groppa al suo mulo che si appresta a ritornare a casa.
– Arrivederci Pierre! Urla Napoleone.
Pierre si gira ma il mulo continua a marciare.
– Arrivederci Capitano!
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