Anna Maria Colombo ci porta al Sacro Monte di Orta, su un promontorio che si affaccia sul lago e sull’isola di San Giulio, e ritorna a Francesco, ma di Assisi
I Sacri Monti, sorti sulla spinta della Controriforma, sono degli insiemi artistici di architettura, scultura, pittura e paesaggio, creati per narrare: la storia sacra, con il suo contenuto di realtà tangibile e intangibile, si svolge sotto gli occhi del fedele.
Il Sacro Monte di Orta San Giulio (in provincia di Novara) è dedicato a san Francesco d’Assisi. La vita del santo è raccontata attraverso una successione di episodi distribuiti in 20 cappelle. Di varia foggia architettonica, le costruzioni sono disposte lungo un percorso che si svolge nell’ambiente boscoso di un promontorio affacciato sul lago e la sua isola.
La decisione della comunità ortese di erigere un insieme di cappelle si accompagnava alla fondazione, nello stesso luogo, di un convento destinato ad accogliere i frati francescani cappuccini. La costruzione delle cappelle iniziò nel 1590, ebbe la sua fase principale nei primi decenni del Seicento e si concluse nel secolo successivo. L’architetto incaricato fu il cappuccino Cleto da Castelletto Ticino,ma l’anima dell’impresa divenne il vescovo di Novara Carlo Bascapè, che condusse la diocesi dal 1593 al 1615.
Come al Sacro Monte di Varallo, sorto circa un secolo prima e modello per il Sacro Monte di Orta, la scena principale, che ciascuna cappella ospita, è mostrata per mezzo di statue di terracotta policroma a grandezza naturale, mentre lungo le pareti le pitture ad affresco creano l’ambientazione o illustrano le scene secondarie.
Terza cappella: san Francesco rinuncia ai beni del mondo
In particolare, il vescovo Bascapè sostenne le spese della Terza cappella e, più che in altre, fu dettagliato nelle istruzioni riguardanti le scene da raffigurarsi. L’episodio narrato è cruciale nella vita del santo. Per Francesco la Rinuncia significa lo scontro definitivo con il padre e il distacco dalle passioni giovanili: la letteratura dei trovatori e gli ideali della cavalleria, per i quali aveva partecipato ad imprese armate. Alcuni biografi chiamano questo gesto le nozze di Francesco con madonna Povertà. La volontà di Bascapè, di legare il proprio nome alla Terza cappella, riflette la stessa sua scelta di voler condurre una vita austera e, divenuto vescovo, dedita alla più sollecita cura pastorale.
Nella cappella il gruppo scultoreo si compone di sette statue opera del luganese Cristoforo Prestinari, plasticatore in precedenza attivo presso la Fabbrica del duomo di Milano. I personaggi raffigurati sono Francesco, suo padre, Guido vescovo d’Assisi, il notaio e tre curiali. Premesso che in tutte le cappelle le figure vestono abiti moderni, vediamo Francesco che, abbandonati i propri indumenti ad eccezione del cilicio, si inginocchia a mani giunte di fronte al vescovo, il quale alzatosi dal sedile sembra che con l’ampiezza del suo piviale voglia offrirgli riparo. Il suo volto, sensibile e all’apparenza sorpreso per ciò che sta accadendo, si tramanda sia quello di Bascapè.
Gli affreschi: san Francesco confeziona la propria veste
Lungo le pareti della cappella, entro dei riquadri, le immagini ad affresco, opera deipittori detti Fiamminghini (Giovan Battista e Giovan Mauro Della Rovere), integrano la scena principale. Fra i quattro episodi della vita del santo, quello che qui interessa riguarda il tema della veste francescana, altamente simbolico.
In un interno improntato al decoro, con specchiature di marmo o di stucco e pilastri che reggono il soffitto, il santo, con solo un lino alle reni e munito di un paio di forbici, taglia un tessuto di colore cappuccino disteso sopra un tavolo coperto da un drappo. Sul tessuto, che ha i contorni di un mantello ed appare consunto e lacerato, è tracciata a gessetto una croce. Francesco procede nel taglio seguendo umilmente ciò che il sarto, un uomo di mezza età, con la mano gli indica.
Al fatto assistono anche un anziano con una fluente barba ed un giovane quasi imberbe, il cui volto si direbbe il ritratto di una persona reale. La figura di san Francesco, seminudo, contrasta con quella dei tre personaggi che lo attorniano, accollati e severi nei loro abiti neri seicenteschi (purtroppo non ben leggibili per il cattivo stato di conservazione dell’affresco).
Le fonti documentarie: la Leggenda maggiore di san Bonaventura
Si è detto come il vescovo Carlo Bascapè abbia dato agli artisti impegnati nella cappella di cui era patrono dettagliate istruzioni sulle scene da rappresentare. Come un regista teatrale, egli dovette seguire un testo, vale a dire, una biografia del santo di Assisi. Si tratta della Leggenda maggiore (1263) scritta da Bonaventura da Bagnoregio, ministro generale dell’Ordine francescano.L’opera conobbe una straordinaria diffusione, dapprima riprodotta in forma manoscritta, poi a stampa.Una copia si trovava nella biblioteca personale di Bascapè.
Il termine “leggenda” non va inteso nel senso odierno di racconto mitico, ma nel senso medioevale di “testo da leggere”. Scrive san Bonaventura: “Giunto alla presenza del vescovo [Francesco], non sopporta indugi o esitazioni; non aspetta né fa parole; ma, immediatamente, depone tutti i vestiti e li restituisce al padre. Si scoprì allora che l’uomo di Dio, sotto le vesti delicate, portava sulle carni un cilicio. Poi, inebriato da un ammirabile fervore di spirito, depose anche le mutande e si denudò totalmente davanti a tutti […].
Il vescovo, vedendo questo e ammirando l’uomo di Dio nel suo fervore senza limiti, subito si alzò, lo prese piangendo fra le sue braccia e, pietoso e buono com’era, lo ricoprì con il suo stesso pallio. Comandò, poi, ai suoi di dare qualcosa al giovane per ricoprirsi. Gli offrirono, appunto, il mantello povero e vile di un contadino, servo del vescovo. Egli, ricevendolo con gratitudine, di propria mano gli tracciò sopra il segno della croce, con un mattone che gli capitò sottomano e formò con esso una veste adatta a ricoprire un uomo crocifisso e seminudo”.
La Leggenda e la sua raffigurazione al Sacro Monte
La differenza principale, tra ciò che è scritto nella Leggenda e la sua raffigurazione al Sacro Monte, consiste nella divisione di quanto accade in due scene, la seconda delle quali avviene forse in una sacrestia, approntata per la circostanza a laboratorio di sartoria. Religione e fatti della vita quotidiana si fondono, al fine di coinvolgere quanto più possibile il fedele.
Occorre ancora chiarire l’espressione finale del testo in cui si dice che Francesco disegnò una veste adatta a ricoprire un uomo crocifisso e seminudo. Al Santuario della Verna si conserva un saio- reliquia di san Francesco. Le maniche sono andate quasi perdute, ma immaginandole, comprendiamo il significato della croce tracciata a gessetto sopra un umile e consunto tessuto.
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