In Italia, alle ore 15 di lunedì 9 giugno si sono chiusi i seggi dove si è votato per i cinque referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza, che non sono risultati validi per lo scarso numero dei votanti.

L’affluenza definitiva è stata del 30,58%, quindi la consultazione non ha superato il quorum del 50% più uno degli aventi diritto. Alle 23 di ieri, l’affluenza si aggirava attorno al 22%.

In termini assoluti, circa 15 milioni di italiani sono andati a votare, con circa 13 milioni di Sì per i referendum sul lavoro.

Riformare il referendum in Italia

Sul versante dell’istituto del referendum vanno notate due prese di posizione.

Da un lato, il leader di Forza Italia e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ritiene che il numero di firme necessarie per richiedere un referendum vada innalzato dalle attuali 500 mila a un milione.

Dall’altro, il segretario di Più Europa, Riccardo Magi, propone una riforma del quorum per abbassarlo sotto la soglia del 50%.

Posizioni identitarie rispetto alle funzioni di governo

In generale, sotto il profilo politico, anche per la natura dei quesiti, l’esito della consultazione presenta due elementi di analisi.

Da un lato costituisce una forma di arroccamento identitario di una pur vasta area politica, nell’area di opposizione, principalmente del Partito Democratico (sinistra) e del Movimento Cinque Stelle (populisti, sinistra). Malgrado la concreta sconfitta, l’area vede positivamente l’esito del voto, che ha ricompattato intorno a principi comuni l’area di sinistra. L’ha tuttavia allontanata da un approccio pragmatico di governo (il Jobs Act fu una riforma di centrosinistra) e da un possibile allargamento del consenso.

Questo posizionamento, ancor più del risultato elettorale, costituisce un segnale positivo per la maggioranza e per il governo di Giorgia Meloni, che consolida la sua immagine e la sua capacità d’azione.

A Sud

Dall’altro, la lettura del voto nella sua distribuzione regionale e sul tema della cittadinanza presenta qualche interesse.

In generale, i referendum sul lavoro – che appunto intendevano abrogare parte della riforma di Matteo Renzi, il Jobs Act – con solo il 30% di votanti, hanno ottenuto, un Sì tra l’80 e il 90%, e con maggiore vantaggio elettorale al Sud, che ha meno dinamismo economico e maggiore sostegno pubblico.

Viceversa, il referendum per ridurre i tempi di residenza da dieci a cinque anni per ottenere la cittadinanza, con un risultato complessivo di 65,4% di Si, ha raggiunto percentuali tra il 59% (Sud Tirolo) e il 69% (Lazio) in una distribuzione territoriale variegata, ma con un 75% in Sardegna.

Il promotore è Più Europa, piccola forza politica anch’essa in ritorno alle proprie battaglie identitarie, in un clima politico internazionale di forze contrarie alle migrazioni, dagli Stati Uniti a diversi ambienti e Paesi europei.

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Direttore di Nos Alpes, giornalista. Ha collaborato in tempi diversi con varie riviste e giornali, da Il Mulino a Limes, da Formiche a Start Magazine.

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