Pochi sanno dov’è il Vallone di Sea, pochi sanno di cosa parliamo: di persone, di arrampicate, di storie, di pura montagna, di vere Alpi. L’arrampicata nel Vallone di Sea racconta quarant’anni di evoluzione sullo gneiss delle Valli di Lanzo.

Siamo in un luogo pazzesco delle Alpi occidentali: in Francia e in Svizzera quasi sconosciuto, per l’Italia luogo minore, forse troppo vicino a Torino. E invece è moltissimo: negli anni Settanta del secolo scorso, era un laboratorio tecnico e culturale. Si disegnavano e salivano vie storiche, c’erano rivalità, innovazioni. La sua storia dura fino ad oggi, ed è un tesoro, un piccolo scrigno.

Ve ne parliamo, ma ci deve andare soltanto chi è capace di silenzio e di ascolto, di rispetto e di gusto per la montagna. Chi è capace di uno sguardo moderno e attuale: e arrampica.

Le origini di un laboratorio naturale

Alla fine degli anni Settanta – nel 1978 Aldo Moro fu ucciso a Roma dalle Brigate Rosse – un gruppo di giovani arrampicatori torinesi scoprì il Vallone di Sea come spazio isolato e severo, con pareti lisce modellate dal ghiaccio e percorsi che richiedevano equilibrio più che forza. Ancora oggi non c’è una pista, si sale a piedi. Anzi, ancora nel 2024 un progetto del comune a valle, di Groscavallo (182 abitanti), ha trovato molta e convinta opposizione.

Torniamo all’arrampicata. In quei primi anni, figure come Gian Carlo Grassi contribuirono a definire un approccio essenziale, fondato su protezioni minime e su un’idea di esplorazione fondata sulla qualità del gesto rispetto al numero delle salite. In pochi anni il vallone divenne un luogo riservato e conosciuto dagli ambienti migliori, per l’apprendimento tecnico. Era lontano dai circuiti alpini più frequentati.

Negli anni Ottanta arrivò più gente, ma erano sempre degli appassionati. Portarono alla definizione di uno stile di arrampicata che avrebbe caratterizzato l’area per decenni. La Via dell’Addio, aperta il 26 giugno 1983 da Ugo Manera, Isidoro Meneghin, Fabrizio Ribetti e Giuliano Ribotto, o Climber Ali di Legno, realizzata il 28 settembre 1986 da Franco Girodo, Gian Carlo Grassi, Nicola Margaira e Giovanni Luca Gillio-Tos, segnano una fase di sperimentazione che coinvolse anche Luca e Matteo Enrico negli anni successivi.

I dibattiti sulla chiodatura e sulle distanze tra le protezioni mostrarono la ricerca di un equilibrio tra sicurezza e tradizione, in un contesto in cui l’arrampicata era intesa come pratica culturale oltre che sportiva.

Ciamarella-Mondrone dalla Punta delle Serene (Alpi Graie) (c) CC BY SA 3_0 F Ceragioli Wikimedia Commons

Il luogo e l’incanto

Poi non era solo arrampicata, ma luogo. Il Vallone di Sea appartiene all’Alta Val Grande, nelle Valli di Lanzo, e si raggiunge da Ala di Stura e da Groscavallo passando per il villaggio di Forno Alpi Graie, dove termina la strada. È un posto lontano, in un territorio abitato da secoli, con villaggi in pietra, pascoli terrazzati e alpeggi. Si vedono muretti a secco, baite e sentieri che salgono lungo la Sea. Si parla il francoprovenzale, ci sono i toponimi e alcune espressioni quotidiane. In cima, questa vetta tagliata, come da una falce, una séye, in francoprovenzale, da cui “Sea”. Dal colle a fianco, si va in Haute-Maurienne, in Savoia. Anche lì adorano i luoghi, e alcuni li tengono al riparo, protetti. Siamo a un passo dal Parco del Gran Paradiso e dal Parc de la Vanoise.

Poi, il paesaggio: fantastico. Il vallone è dominato da pareti di gneiss, massi erratici e terrazzi glaciali, eredità del ghiacciaio che un tempo ne occupava il fondovalle. La vegetazione varia dalle betulle e dai larici dei primi pendii alle brughiere di rododendri che precedono le Porte di Sea. Come in tutte le Alpi, ma qui l’effetto sembra più forte.

L’allevamento, fino ad alta quota, come in Savoia o in Valle d’Aosta, è visibile anche nella rete di sentieri e negli alpeggi. Rispetto ad altri luoghi alpini, si vede la sviluppo che non c’è stato, e forse anche una mancanza di visione. Forse l’eccessiva vicinanza con Torino, la scarsa fiducia in se stessi. Da qui i progetti che sono per altri spazi, sempre la solita strada, una centralina elettrica: tentativi non riusciti. Con le associazioni, si intravvede qualche opportunità di sviluppo, ma bisogna essere moderni, attuali, cogliere questa nicchia di persone, che è non solo torinese, ma europea. Circola anche nel Queyras e si tiene alla larga dalle grandi stazioni. Bisognerebbe intercettarla, ha i polpastrelli bianchi di magnesite.

Ala di Stura, insieme a Cantoira, Mezzenile e Groscavallo, mantiene un legame forte con il vallone, frequentato dagli abitanti, e nelle diverse stagioni. L’identità della Sea nasce da questa combinazione di isolamento, memoria alpina e pratiche contemporanee. Hanno tra loro un equilibrio, ma sono sempre esposte al rischio del fare come gli altri, con cemento e strutture.

Bisogna andare in giro per capire quali soluzioni ci sono e cosa non fare per il Vallone della Sea: appunto nelle valli del Queyras, nella valle della Clarée, che fu difesa negli anni Settanta, in alcuni angoli del Vercors.

Sono gioielli, e basta.

Dall’oblio parziale alla continuità delle pratiche

Tra gli anni Novanta e i primi duemila il vallone ha vissuto un periodo di relativa marginalità, però in comunità ristretta di frequentatori che ha salvato con orgoglio l’eredità tecnica e culturale delle prime generazioni. La nascita dell’arrampicata su massi, soprattutto nelle aree delle Porte di Sea, ha introdotto nuove modalità di utilizzo del territorio. Il bouldering ha davvero contribuito a mantenere vivo l’interesse per un paesaggio che richiedeva tempi lunghi di avvicinamento e condizioni favorevoli di stagione.

Negli ultimi dieci anni il Vallone di Sea è al centro dell’attenzione dei Rocciatori Val di Sea e del Gruppo Occidentale del Club Alpino Accademico Italiano. Sono un po’ i soggetti che se ne occupano, insieme al Fondo per l’ambiente italiano.

La riattrezzatura di vie storiche, come l’intervento su Climber Ali di Legno nel 2019, insieme alla revisione di Titanic, opera di Emilio Bonfanti e Paolo Stroppiana del luglio 1998, ha permesso di recuperare itinerari che erano diventati poco accessibili.

Allo stesso tempo sono nate nuove vie, tra cui Allucinazioni Uditive, realizzata nel 2022 da Luca Enrico, Matteo Enrico e Simone Olivetti, che propone una linea di circa 350 metri sul grande diedro dello Specchio di Iside. Che razza di nomi.

Penso che si siamo capiti. È un luogo da scoprire, ma per il momento facciamolo da casa, senza muoverci, se proprio non arrampichiamo, sgranando gli occhi verso l’alto. Ci vanno quelli che sanno, e sono già molti.

Per nostro conto, sappiamo che nelle nostre Alpi c’è il fantastico Vallone di Sea, e lo lasciamo in pace.

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Direttore di Nos Alpes, giornalista. Ha collaborato in tempi diversi con varie riviste e giornali, da Il Mulino a Limes, da Formiche a Start Magazine.

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