Terza parte del racconto dedicato a un momento della Resistenza in Valle d’Aosta, con i personaggi di Plik e Dolfe, e richiami a episodi reali /3


Più tardi, quello stesso giorno.

Nella caserma di Aosta c’è una gran pace. È quasi l’ora di pranzo e tutti i soldati fascisti si sono ritirati per mangiare, tutti tranne uno, il centurione della caserma: Dolfe. È seduto dietro la scrivania del suo ufficio, ha lo sguardo preoccupato e severo, non sta facendo niente di particolare, se non pensare. A un tratto bussano alla porta: è un giovane ragazzo, vestito da facchino con un piccolo pacco tra le mani. Ha lo sguardo molto teso e le braccia gli tremano. Poggia il pacchetto sulla scrivania e arretra. Dolfe non sembra essere preoccupato, è piuttosto incuriosito, lo scarta e al suo interno trova un piccolo biglietto.

  • Dolfe, no n’en frette. (Dolfe, abbiamo freddo.)

Dolfe alza lo sguardo in cerca del ragazzo, ma questo è già sparito. Esce dal suo ufficio, ma nei corridoi della caserma non lo vede, c’è solo qualche funzionario fascista. Sa benissimo da chi arriva quel messaggio, quello che non sa è cosa fare.

Prende la giacca e si precipita a casa.

Natalina lo sta aspettando per il pranzo, gli serve una pastasciutta e si siede al tavolo con lui. Ha già capito che il marito è turbato e aspetta di sentire il perché. L’uomo resta in silenzio per qualche minuto, poi dalla tasca tira fuori il biglietto e lo posa sulla tavola.

– È di Nando?

Dolfe, mentre mangia con addosso la camicia nera, ha lo sguardo rivolto al piatto e annuisce con la testa.

  • Il dovere mi impone di denunciare questo biglietto, dovrei portarlo al comando nazista…
  • Ma il cuore Ofo, il cuore cosa ti dice?
  • Il cuore non mi parla da tempo.
  • Mi ricordo il giorno in cui l’hai conosciuto, quanti anni avrà avuto? Forse nemmeno una trentina. Tornasti a casa e mi dicesti di aver conosciuto un giovane alpino davvero in gamba. Non mi hai mai detto così di nessun altro, dopo due giorni eravate qui a pranzo, sembrava che foste amici da una vita.

Natalina si alza e sparecchia la tavola, mentre Dolfe continua a fissare il vuoto. È stanco: della guerra, della divisa che porta e del suo ruolo.

Si siede in poltrona e i pensieri lo tormentano. Di solito, dopo pranzo si concede un riposino, ma non quel giorno. All’improvviso si alza e mette a soqquadro tutti gli armadi della casa, tira fuori coperte, lenzuola, maglioni persino un vecchio tappeto. Con grande agitazione ripone tutto in alcune valigie, ma non riesce a inserire nemmeno la metà della roba che ha accumulato. Così in preda all’ansia si getta alla ricerca di sacchi di tela e ne trova solo qualcuno. Natalina vede il marito agitato ma non interviene, anzi sorride e torna in cucina a occuparsi delle sue faccende.

Dolfe esce di casa e va da sua sorella.

– Dolfe che succede? Chiede la donna aprendo la porta e vedendo il fratello sudato e in preda al panico.

  • Mi servono coperte, giacche, tutto ciò che puoi darmi di pesante!
  • E a che ti serve questa roba?
  • Fa freddo Luigina, c’è gente che muore di freddo. Dice Dolfe con il lungo cappotto della sua divisa aperto. La sorella non commenta e si appresta a racimolare tutto ciò che trova di pesante.
  • Torno tra poco a prendere tutto. Le dà un bacio in fronte ed esce di fretta, lasciando Luigina piuttosto sconvolta.

Dolfe si precipita verso la caserma, ma a pochi passi dall’entrata si accorge di essere piuttosto malmesso e cerca di darsi una sistemata: abbottona il cappotto, si aggiusta i capelli e si asciuga la fronte dal sudore che nonostante il freddo è piuttosto bagnata. Un funzionario, come lo vede entrare, lo saluta con il braccio destro teso, lui ricambia e gli si avvicina.

  • Ho bisogno di un furgone.
  • Certo Signore, la faccio accompagnare da un soldato.
  • Nessun soldato, è un affare di famiglia, una questione di qualche ora.

Il funzionario lo guarda stupito, ma gli ordini di un maggiore fascista non si discutono.

Dolfe, piuttosto agitato, esce dalla caserma su un grosso furgone militare. Le strade non sono trafficate ma la vista di ogni pattuglia, di ogni divisa gli fa battere il cuore. Arriva sotto casa e sale le scale a due a due, entra nel salone e inizia a portare di sotto i sacchi stracolmi. All’ultimo giro incrocia lo sguardo della moglie e senza dirsi nemmeno una parola si comunicano tutto. Esce e corre a casa della sorella che è agitata e gli chiede spiegazioni, ma Dolfe non le sa spiegare niente, nemmeno lui è sicuro di ciò che sta facendo. Infila tutto nel retro del furgone e prende la strada per Cogne.

Per tranquillizzarsi conta le macchine che incrocia, molte di queste sono pattuglie naziste. Le budella gli si contorcono e l’ansia pervade ogni parte del suo corpo, se dovessero scoprire ciò che sta facendo lo fucilerebbero.

La strada è ripida e piena di neve. A qualche chilometro da Cogne si imbatte in una pattuglia nazista ferma per un posto di blocco. Le gambe gli tremano a tal punto che fatica a guidare. Le guardie naziste lo squadrano, ma non lo fermano. Un senso di felicità lo pervade tanto che un sorriso spontaneo compare sul suo burbero volto.

Un giovane ragazzo è seduto su un cumulo di neve all’ingresso del paese. Gioca a lanciare delle palle di neve da una parte all’altra della strada e lo fa senza emozione, ha lo sguardo assente e l’aria triste, scaraventa le palle in maniera meccanica, una dopo l’altra. A un certo punto vede un camion fascista arrivare verso di lui. Si paralizza. L’ultima volta che ha visto arrivare i fascisti hanno portato via suo fratello partigiano, non l’ha mai più rivisto e adesso ogni giorno si mette sul ciglio della strada, in attesa del suo ritorno. Alla vista del furgone non ha paura, ma spera che gli abbiano riportato suo fratello. Il camion si ferma davanti a lui.

– Ragazzo, vieni qui. Queste coperte sono per i partigiani. Corri e avvisali, in fretta! Dice Dolfe, poi scende dal veicolo e posa tutti i sacchi a terra.

  • Ah ragazzo, porta i miei saluti a Plik.

TUTTO IL RACCONTO DI PLIK E DOLFE, DI JACQUES MARTINET

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Ha studiato al Dams a Torino e poi all’Alma Mater a Bologna. Nel 2022 un tirocinio lo ha portato a Roma, a lavorare inizialmente nella produzione della serie Suburræterna e poi in altre produzioni cinematografiche. Appassionato di letteratura e sceneggiatura ha pubblicato il suo primo racconto sul sito Racconti nella rete dell'associazione LuccAutori.

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