Domenica 8 giugno, ad Aosta, in una via del centro, un bambino indossava orgoglioso un cappellino del Concours Cerlogne, dopo l’evento finale, in patois, del 5 e 6 giugno.
Abbiamo visto un messaggio di una maestra che raccontava del ritorno dei bambini in autobus al loro comune, dopo la giornata di animazioni in patois. Senza cedere alla stanchezza avevano cantato per tutto il viaggio il ritornello della canzone che avevano sentito allo spettacolo, sempre in francoprovenzale, al Teatro Splendor di Aosta.
Anche sui social, nel piccolo mondo valdostano, le immagini, i brevi video hanno testimoniato che si è trattato di un grande evento.
Per cui, anche qui, abbiamo pensato che non bastasse averne già parlato, annunciandone programma e numeri. Bisognava dirne qualcosa di più anche dopo, raccontarne almeno dei frammenti, lasciare una traccia e far sapere.
Intanto, lo spettacolo
I bambini del Councours Cerlogne, 1337 con 187 insegnanti, per lo più di scuole materne ed elementari e di qualche classe delle medie, hanno assistito in quattro rappresentazioni allo spettacolo che metteva in scena Bartelemix, l’extraterreste giunto in visita in Valle d’Aosta.

Il personaggio, verde, con le orecchie lunghe, e patoisant, è stato il filo conduttore di un anno di attività sul francoprovenzale nelle classi che hanno aderito al programma, nelle diverse località della Valle. Era nei racconti e nelle animazioni, sul tema di quest’anno, dare un nome allo spazio, al territorio e al movimento, Resté Boudzé, restare-muoversi.
Allo spettacolo, i bambini se lo sono ritrovati come personaggio reale, ed è stata un’esplosione.
À la retsertse de Bartelemix
Si deve la rappresentazione À la retsertse de Bartelemix al giovane gruppo teatrale dei Digourdì (hanno diversi video su YouTube da guardare), con qualche musica di Vincent Boniface (dei Trouveurs Valdostains e di altro).
Hanno messo una grossa astronave di cartone e di colori in mezzo al palco, in cui i passeggeri erano alla ricerca di Bartelemix nei luoghi di Aosta. L’astronave si accendeva e si spostava solo con la musica, e da un punto all’altro della città, con immagini in versione comics proiettate sullo sfondo, dal Teatro romano all’Arco di Augusto, da Piazza Chanoux allo Splendor.
Di Bartelemix nessuna traccia, con selfie inattesi in un crescendo di gioia dei bambini che cantavano a squarciagola il ritornello in patois “Senque l’an baillà a Bartelemix“ cioè “che cosa hanno dato a Bartelemix”.
Alla fine, Bartelemix è apparso sul palco, ed è stato il tripudio. Bambini entusiasti in patois, insegnanti e ospiti coinvolti. E non era solo lo spettacolo, ma anche l’idea di assistere e di partecipare a qualcosa di unico in quest’isola linguistica vivissima, con i bambini protagonisti, nella transizione tra generazioni.
Da cui le conseguenze anche la domenica, con i cappellini ancora per strada, i messaggi, i commenti.

Spaesamento e plurilinguismo
A una delle quattro rappresentazioni ha assistito anche il sindaco di Albertville, Frédéric Burnier Frambouret. Era ad Aosta per coincidenza e per un incontro sullo sviluppo del gemellaggio con la città. Ha portato i saluti su palco, e dopo lo spettacolo ci ha detto che è stato un momento di spaesamento.
Effettivamente, la Valle d’Aosta è un posto particolare, ben lontano dallo schema Uno Stato-Una Lingua. Qui siamo in un altro ambiente: anche nel patois, vi sono decine di varianti, a cui si aggiunge il walser – con due versioni, il titsch e il töitschu, – e due lingue principali dell’Unione europea, il francese e l’italiano. Una specie di prato fiorito, una ricchezza di diversità come in cucina, una larga articolazione culturale. Ed è totalmente prepolitica, è compresa prima di tutto nel verbo “vivere”, collettivo e individuale.
Come appropriarsi della città
Ogni anno si cambia luogo, e Aosta ospitava il 63esimo Concours Cerlogne l’anno dopo Courmayeur, in occasione del 2050 anno dalla fondazione della città romana, nel 25 Avanti Cristo.
A farla facile, si sarebbero potuti riunire i bambini in due o tre luoghi, e invece sono state realizzate animazioni in 14 siti, dallo storico lavatoio di via Antica Zecca ai giardini del Seminario maggiore, dalla Biblioteca regionale al Salone ducale del Comune.
Ogni scolaro ha partecipato almeno tre animazioni in patois in tre luoghi diversi, e le classi stesse sono state persino divise in gruppi, affinché i bambini di una località riportassero a casa insieme l’esperienza di 6 o di 8 luoghi cittadini. Non erano soltanto siti romani in celebrazione del 2050esimo ma anche ambienti medievali, ottocenteschi, o celtici, con la visita al Megamuseo e all’area archeologica di Saint-Martin de Corléans.
Si tratta spesso di scuole in valli laterali o in piccoli comuni in fondovalle, e non è detto che i genitori abbiano occasione di portare i bambini a conoscere quegli angoli di città, nell’impegno di far acquisti o sbrigare qualche faccenda.
D’altra parte, il tema dell’anno riguardava l’atto di dare un nome ai luoghi e al territorio, e si sono visti effettivamente gruppi di bambini in transito dappertutto nella città. Dopo lo spettacolo serale, questa volta pubblico, di Patoué eun Mezeucca, anche questo molto vivo e con almeno 50 musicisti sul palco, abbiamo assistito ad un altro commento.
La lingua di un modo di vedere e di fare
Il francese e l’italiano sono anche lingue strumentali, servono per muoversi, per lavorare, per studiare. Il patois, nelle sue articolazioni, è una lingua interna a una comunità, anche se ha funzioni nella famiglia e nel lavoro. Abbiamo sentito ripetere più volte che è una lingua di cuore, che induce a un certo modo di lavorare e fare, a delle visioni del mondo, con i loro limiti e le loro qualità.
Effettivamente, ha portato la squadra che ha organizzato il Concours a fare qualcosa di più di un mansionario, ad adattarsi a tutti i compiti. Hanno riempito la città, i Digourdì hanno fatto uno spettacolo riuscito e con pochi mezzi, e 187 insegnanti ad hanno accompagnato con il patois ad Aosta 1337 bambini dalle scuole dei villaggi e dei paesi.
Sarà da ricordare, e da rivedere.
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