Il quarto summit Le Grand Continent conferma il suo ruolo, come sede di un dibattito centrato sull’Europa e sulle sfide (o grane) globali e geopolitiche. Negli anni, l’impianto dei tre giorni dell’incontro si adatta e si rafforza. L’idea è di mettere insieme voci e pensieri, di alto e altissimo livello per competenza ed esperienza diretta, e di veder scoccare le scintille, le proposte, le idee. Si svolge principalmente a Saint-Vincent, ma coinvolge altre località, da Aosta a Breuil-Cervinia.

La prima giornata, il 2 dicembre, è stata aperta a tutti, tra l’università ad Aosta e il Megamuseo che ospita il parco archeologico. I tre giorni successivi sono svolti a Saint-Vincent, in formato relativamente chiuso. Un’ultima giornata a Breuil Cervinia è dedicata al Prix Le Grand Continent, a un nuovo libro europeo che merita di essere tradotto in più lingue.

Qui vale la pena intanto di ritornare sulla prima giornata, ad Aosta, per i suoi messaggi e per le idee che sono corse nell’aria.

Il Comitato delle Regioni e delle parole

Malgrado il focus potesse sembrare anche troppo classico, sull’Europa e le Regioni, anche in omaggio alla Valle d’Aosta che ospita l’evento, la prima giornata all’università è stata un’occasione di molta chiarezza.

Rispetto alla bolla di Bruxelles, ai comunicati stampa e ai media che li rilanciano, ci sono state parole nette e di cui c’è bisogno. Il Comitato delle Regioni pesa poco o nulla, produce pareri complessi e bellissimi che restano però nei cassetti. C’è stato un dialogo molto esplicito e utile in cui c’erano Anna Maria Poggi (Università di Torino e a capo della fondazione CRT) e Enzo Balboni (Cattolica di Milano) che tra l’altro fu in passato membro della Commissione paritetica Stato-Valle d’Aosta, quella che prepara le norme di attuazione dello Statuto speciale.

Si fanno dichiarazioni altisonanti contro la prossima centralizzazione statale dei fondi europei, ma poi arriva il commissario europeo Raffaele Fitto (che in video ha fatto un’introduzione) e tutto rimane a livello verbale, e la centralizzazione ci sarà.

Stessa cosa per la partecipazione regionale alla fase ascendente e discendente della legislazione europea: le Regioni dormono, o fanno troppo poco: e a dirlo è stato proprio Luciano Caveri, che in differenti posizioni politiche, in ultimo da assessore agli Affari europei della Valle d’Aosta, aveva il tema proprio sul suo tavolo.

Poi, c’è anche il bicchiere mezzo pieno: le Regioni sono un elemento fondamentale e necessario per governare i processi, e l’aveva ben detto l’Assemblea costituente in Italia, ha ricordato il professor Balboni.

Il velociraptor e l’Europa

Nella prima giornata c’è stato un nesso con i grandi temi del summit: in Cina come europei si viene accolti con disprezzo ormai, mentre in passato l’Europa era leader, ha detto Jean Pisani-Ferry (Istituto per il clima, ma è poco limitarlo a questo titolo). Il mondo si sta consolidando intorno a degli imperi, con una linea anti-illuminista e anti-democratica, ha sottolineato con vivacità Marlène Laruelle (George Washington University). Il passaggio dalle città libere del Rinascimento alle signorie è avvenuto con una cessione spontanea, lenta e progressiva di ubbidienza e adeguamento, hanno detto Laruelle e Patrick Boucheron, del Collège de France.

L’Europa non è soltanto l’erbivoro in un mondo di carnivori, ma si trova circondata da velociraptor, ha detto l’ambasciatore Martin Briens, citando Pascal Lamy (ex direttore dell’OMC e già commissario europeo), che era in sala. Laruelle ha spiegato cos’è l’illuminismo nero, di un’élite che vuole tutte le libertà per sé, per creare e guadagnare, e il resto della gente e del mondo deve adeguarsi.

L’ostilità alla democrazia liberale dell’America di Trump e della Russia di Putin è un attacco non solo al liberalismo, ma alla libertà, al principio di libertà così come lo intendiamo proprio in Europa, ha detto con leggerezza e forza Andrea Capussela, della London School of Economics.

La rencontre du soir du 2 décembre 2025 du Grand Continent 2025 au Mégamusée d’Aoste (c) Région autonome Vallée d’Aoste

La serata delle idee sull’umanesimo del futuro e dell’Europa

Più tardi, al Megamuseo, con un pubblico raccolto e attento, c’è stato un attimo di magia. Si doveva parlare di umanesimo del futuro: un tema nello stile del Grand Continent, che guarda avanti, fino a sparigliare e a spiazzare.

Le premesse erano state dette, e sono state richiamate: altro che umanesimo, si prepara un mondo di un’élite ristretta e ricchissima, e di macchine – con tanto di intelligenza artificiale – con la gente ai margini, e con degli imperi, in un ribaltamento distopico di valori e modi di pensare.

Cosa resta dell’umanesimo europeo? Beh, la risposta non è stata difensiva, guardava avanti. C’è stato uno scorrere di idee e di pensieri che davano l’idea – tutta da consolidare – della costruzione di una proposta e di una risposta ai tempi nuovi, nel mondo che finisce e in quello nuovo che ancora non c’è, il tempo dei mostri.

Oltre alla descrizione del colpo che arriverà in Europa fra pochi anni – tra nuove destre ultraradicali europee all’interno e assalto degli imperi dall’esterno –, Marlène Laruelle ha fatto anche dei ragionamenti su come creare un’alleanza – difensiva o offensiva – di tutte le forze umaniste, che sono presenti anche nella destra radicale americana, quella di Bolton rispetto a quella di Palantir e di Peter Thiel. Comunque, il mondo non tornerà indietro, anche se in futuro vincessero i democratici, gli imperi ci sono, e il capovolgimento delle posizioni è compiuto, non solo in arrivo dalla Russia, ma anche dagli Stati Uniti.

Salire dalla parete nord

Carlo Ossola, del Collège de France, ha poi parlato da saggio, anche lui sparigliando: camminare, dormire, mangiare sono fatti insieme umani e culturali, sono fatti di base, e su cui si costruiscono le relazioni tra le persone, le comunità e i luoghi, i modi di vivere, il cibo, la cultura. C’è una base solida, dentro l’Europa, che ha millenni ed è in tutte le persone, nei paesaggi, nel patrimonio. Argomento per nulla banale, rispetto a un gruppo che pensa al superuomo amplificato da IA e dispositivi personali, isolato da un popolo che non serve a nulla – e svuotato – quando le macchine fanno tutto.

Beh, l’Europa può ritrovare in se stessa in suo fondamento e riconoscersi, oltre il passaporto comune, la bandiera e qualche simbolo. Lo può fare salendo la parete nord, per capire e costruire la propria identità, proprio fondata sull’uomo, e su una serie di temi che ne discendono dal modello economico, a quello sociale, al territorio, ha detto Pascal Lamy. E proprio di Lamy bisogna leggere l’articolo su Le Grand Continent: si intitola proprio L’Europe par la face nord.

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Direttore di Nos Alpes, giornalista. Ha collaborato in tempi diversi con varie riviste e giornali, da Il Mulino a Limes, da Formiche a Start Magazine.

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