Appunti dall’incontro internazionale che si tiene dal 18 al 20 dicembre in Valle d’Aosta a cura della rivista Le Grand Continent

Gli appunti del 18 dicembre si trovano qui


Narrative, beni comuni, cultura europea

(ore 18.30) Un workshop, alla fine della seconda giornata, ha abbordato il tema della cultura europea. Si è trattato di un confronto molto vario, che ha considerato per esempio le condizioni economiche, per strati sociali e per diversità territoriali, come base su cui le persone costruiscono culture e narrative, oppure i finanziamenti nazionali per la cultura (il paese che spende di più è l’Ungheria – il 3% del PIL, il secondo l’Estonia con il 2,2%), come ha ricordato Giuliano da Empoli. Dal suo canto, Lea Ypi, alla London Scool of Economics e albanese, ha notato come sia difficile in una Europa aperta parlare di “agenda strategica per la cultura”, che ricorda un inquadramento, e che per i cittadini dell’est inevitabilmente genera un riflesso sul passato sovietico.

Empoli ha ricordato come lo stesso Roosevelt ha dato vita a programmi sulla cultura, sia come componente del welfare, sia come strumento di sviluppo. Sono stati evocati i “valori europei”, l’approccio costruttivo, la dimensione critica e di analisi. Secondo Lea Ypi la capacità di analisi e di critica è un elemento forte della cultura europea sul piano globale. L’appartenenza a una “cultura” tende allo standard, una politica culturale deve stimolare piuttosto la capacità di crescita e di sviluppo, la critica e l’innovazione.

Gabriela Ramos (Unesco) ha ricordato il suo punto di vista esterno all’Europa, rispetto alle sue origini messicane. Ha quindi sottolineato che alcune politiche hanno una narrativa politicamente orientata. Per esempio in Messico, vi è stato un momento in cui andava costruita una identità nazionale, e risorse furono collocate per una politica culturale in questa direzione. Vi sono poi altri punti di vista sul tema: il digitale e i cambiamenti sociali che ne sono indotti, l’atteggiamento costruttivo e positivo che occorre per affrontarli.

Lea Ypi ha fatto notare che più si racconta positivamente la cultura europea, anche all’interno, più si sucitano reazioni all’esterno, con veri e propri attacchi ai “valori” alla narrativa europea. Lo si vede sui social, ma anche in espressioni politiche o della letteratura. Ci vuole una costruzione solida e capace di difendersi: Lea Ypi vive a Londra e ha portato come esempio proprio ciò che vede nell’espressione culturale che la circonda rispetto all’Unione europea, malgrado il relativo fallimento della Brexit.

Gabriela Ramos ha sottolineato anche la lettura positiva che corre all’esterno dell’Europa e sui valori europei, per esempio una dimensione più “umana” e meno “capitalistica” rispetto agli Stati Uniti. Tuttavia, i valori sono universali – c’è stata un convergenza tra gli oratori – non c’è un’esclusiva europea, ma esiste un numero crescente di posti nel mondo un cui questi valori sono oggetto di attacchi, che vanno difesi secondo da Empoli.

il dibattito è stato coordinato da Jeremy Cliffe, della Open Society Foundations.

Per approfondire,

Giuliano da Empoli, Sept idées pour un plan de relance culturel de l’Union, GEG, 2 juillet 2020


Quale impatto sociale ed economico per l’Intelligenza artificiale?

(ore 14.10) Anche l’idea di mettere in piedi un panel dedicato agli impatti dell’IA va inquadrata nell’approccio generale di Le Grand Continent. Si tratta di far parlare coloro che ne sanno, perché ci lavorano, e che hanno punti di vista diversi o complementari, per professione o per formazione. In questo modo, si è potuto ascoltate Brando Benifei, capogruppo PD al Parlamento europeo e soprattuto co-relatore dell’Artificial Intelligence Act: la decisione europea è un primato globale, un’iniziativa europea che pone le prime basi di regolazione dell’IA. Ci sono dei limiti però, perché i margini legislativi e di implementazione sono circoscritti. Gli impatti sono senz’altro sociali: sia nelle trasformazioni dell’occupazione, che sono complicate ma gestibili, sia nelle distribuzioni del reddito. Occorre gestire la transizione digitale perché porterà soluzioni e ricchezza, ma vanno evitati gli impatti che ricadano su alcune fasce della popolazione, anche territoriale. Quindi, ci vogliono politiche pubbliche anche qui (come nel cambiamento climatico) di adattamento. Inoltre, i nostri sono i tempi del populismo, e sono tutti argomenti che possono alimentarlo.

Gli impatti, positivi e negativi, sono europei ma soprattutto globali, con evidenti effetti geopolitici, anche per l’Europa, per esempio rispetto alla Cina, e agli stessi grandi operatori che ci lavorano. Vi sono elementi centrali per l’Europa: i diritti dell’individuo (tra cui la riservatezza dei dati personali, per esempio con la sorveglianza e il riconoscimento facciale), il rischio di un rafforzamento della disinformazione (si possono imitare foto, voci, persone), la concorrenza globale sull’innovazione rispetto alla regolazione dell’IA (la legislazione europea può essere un freno?), la redistribuzione della ricchezza generata dall’AI, la sua applicazione equa a diversi livelli produttivi e sociali.

Al panel, oltre a Brando Benifei, hanno partecipato Anne Bouverot (presidente della École Normale supérieure e co-presidente del comitato francese sulla Generative AI), Anu Bradford della Columbia Law School, Marc Faddoul direttore di AI Forensis e Gabriela Ramos, assistente direttore generale per le Scienze umane e sociali dell’Unesco.


Come finanziare una transizione (climatica) equa

(ore 12.09) Il tema della sostenibilità della transizione climatica, in particolare sotto il profilo dell’equità, è ripreso in secondo panel del mattino. Ve ne sono altri in parallelo: uno sull’Europa nel nuovo ordine mondiale dell’energia e uno (a porte chiuse) sul trattato del Qurinale.

Al workshop, moderato da Adrien Zakhartchouk, corrispondente del Grand Continent, hanno participato diversi testimoni chiave del sistema finanziario che osservano le relazioni tra transizione climatica e capitali. La questione non è secondaria., e Le Grand Continent ha compiuto una scelta netta e trasparente nel porre il tema nell’incontro internazionale. Il flusso e l’orientamento dei capitali ha un effetto concreto sulla capacità di intervenire sul cambiamento climatico, come peraltro era già emerso nell’incontro di ieri sul green deal europeo, in particolare sugli investimenti delle banche pubbliche per lo sviluppo.

Jean-Pisani Ferry (Sciences Po) ha sottolineato come il problema dei capitali risulta da un lato politico e dall’altro relativo a differenti livelli di popolazione, che possono essere interessati in modo negativo dalle trasformazioni verdi, anche con politiche locali, per esempio anche soltanto con la distribuzione di impianti eolici. Secondo quanto emerge dal workshop, i costi degli investimenti possono anche essere maggiori se occorre poi riparare danni sociali o danni materiali per mancati interventi di adattamento.

Per equità va immaginata una tassazione specifica, non solo sulla singola “struttura” ma per equità rispetto ai livelli meglio dotati economicamente. Va inoltre svolto un ragionamento ulteriore su come si finanzia una infrastrututra, per esempio sull’utilizzo o sulla tassazione generale, o sui benefici. Stéphane Boujnah (CEO di Euronext) ha indicato la crescita investimenti verdi (ESG Funds) in termini di decine di trilioni di euro. I flussi però non sono neutrali e c’è molto lavoro da fare, per seguirne, facilitare l’impatto ed evitare sprechi e derive. È un argomento ripreso anche da Gregor Semieniuk, della Banca Mondiale.

Charles Weymuller (economista all’EDF, l’ENEL francese) ha indicato come occorra ragionare sia in modo centrale sia in modo decentrato. Il mix energetico richiede una policy multilivello e un approccio finanziario: ha sottinteso la questione della sostenibilità economica Stato belga per gli investimenti strategici e di ripresa, ha ricordato come nei molti progetti in corso vi sia un significativo lavoro sulla transizione climatica, composta da 20 milioni del NextGenEU, 5 milioni dal governo federale e 10 dagli investimenti privati.

E’ emerso che va gestito il distacco tra la complessità del problema da gestire con il cambiamento climatico – che resta un problema grave, come “schiantarsi contro un muro” – l’informazione pubblica e la comprensione dei processi in corso, ivi compresi i rifiuti, le reazioni popolari e i movimenti populisti.

Nel worskshop è stato ricordato il rapporto che Jean-Pisani Ferry ha coordinato sull’incidenza economica delle politiche per il clima. Per approfondire:

Les incidences économiques de l’action pour le climat


Il Green Deal e l’Europa globale

(ore 10.40) primo workshop del mattino è stato dedicato all Green Deal sul piano globale. L’Europa ha iniziato a muoversi prima sul green deal, ma ora è raggiunta dagli Stati Uniti. Notava il capo di Airbus, Guillaume Faury, che in materia di carburanti alternativi questi hanno superato e raddoppiato la produzione rispetto alla produzione europea.

Vi è una concorrenza positiva tra le deu aree dell’Atlantico, ma le minacce sono evidenti. L’impatto del cambiamento genera dei vinti e dei vincitori diceva per esempio in particolare Jean-Yves Dormagen, professore a Montpellier, occorre una spinta più forte negli investimenti sul clima, i centri di ricerca possono contribuire molto, occorre ripensare anche a schemi di tassazione sostenibili ma capaci di sostenere il processo di cambiamento, con scelte politiche, che richiedono collaborazioni internazionali ed europee.

Jennifer Harris, del Council for Foreign Relations si è a lungo soffermata sulle relazioni tra Europa e Stati Uniti, indicando che vi è una relazione diretta tra investimenti e geopolitica, e che ogni azione economica ha un effetto in politica estera. E questo vale anche per l’Europa.

per approfondire con Jennifer Harris

intervista al Financial Times del 2 novembre 2023


Gli appunti del 18 dicembre si trovano qui

Direttore di Nos Alpes, giornalista. Ha collaborato in tempi diversi con varie riviste e giornali, da Il Mulino a Limes, da Formiche a Start Magazine.

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