La nuova Alfa Romeo “Milano” cambia nome e diventa “Junior”: l’esito della visita di Carlo Tavares a Torino e Milano del 10 aprile ha lasciato incomprensioni profonde, con uno scenario di crisi italiana della manifattura dell’auto. Ecco un riassunto dopo alcuni giorni di commenti e dibattito.

Il nome “Milano”? Una violazione di legge

Il ministro italiano delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, l’aveva messa già dura. Produrre in Polonia un’auto con un nome italiano, appunto Alfa Romeo “Milano”, sarebbe stato un reato, una violazione della legge nazionale sull’italian sounding del 2003 (comma 49 art.4 della legge n.305/2003). La pronta replica del capo di Stellantis, Carlo Tavares, indicava che costruirla in Italia avrebbe comportato un costo maggiore di 10 mila euro a vettura.

Dietro le parole, emergevano due diverse visioni sullo sviluppo economico e la produzione: la prima, quella del ministro Urso, con le fabbriche che producono sulla base di decisioni collettive o politiche: un milione di auto e in Italia. La seconda, dell’amministratore Tavares, secondo cui le auto vanno prodotte nei luoghi e con la tecnologia che servono per stare sul mercato. Per lui, si tratta anzitutto di competizione, in cui i migliori (o più forti) sopravvivono, in un mondo “darwinista” che seleziona le specie e le case automobilistiche, come aveva ben ricordato in una intervista a Le Figaro del 1 aprile.

La visita a Torino

Carlo Tavares si era recato nel mattino del 10 aprile a Torino per inaugurare la produzione di un nuovo cambio ibrido: 600 mila pezzi all’anno con 550 nuovi occupati a termine. L’apertura di questa nuova linea però suona un po’ come una compensazione, visto che di auto se ne producono sempre meno: nel primo trimestre del 2024 la produzione alla fabbrica di Mirafiori si è dimezzata (-51%) rispetto al 2023, la cassa integrazione è quasi diventata una regola, è stata incentivata l’uscita per 1560 lavoratori.

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La compensazione è comunque importante, perché si tratta di un pezzo, il cambio ibrido, che sarà utilizzato da tutto il gruppo, sebbene si tratti comunque di componentistica e non di un’auto completa. A Torino, si produce la 500 elettrica, che è considerata piuttosto cara e si fatica a vendere, la Maserati è arrivata a 8.680 unità prodotte nel 2023 rispetto alle 55 mila del 2017.

Stellantis ha tuttavia presentato un ampio programma di investimenti, intorno al progetto di Mirafiori Automotive Park 2030

Il passaggio a Milano nel pomeriggio

L’auto completa è stata invece inaugurata nel pomeriggio del 10 aprile a Milano, città dello storico marchio Alfa Romeo. La nuova vettura, denominata appunto “Milano”, è prevista però in produzione in Polonia, nello stabilimento di Tychy, che produce anche la Jeep Avenger e due modelli di cui si parla di una prossima cessazione, cioè la Fiat 500 e la Lancia Ypsilon. Tichy è un grande stabilimento: fu Fiat ad avviare la collaborazione sin dagli anni 70 con la produzione della 126, per poi acquisirlo e giungere oggi con Stellantis fino a 600 mila vetture l’anno. A fine settembre 2022, il gruppo aveva annunciato la quota 12,5 milioni di veicoli realizzati.

Il conflitto con Urso e con un pezzo d’Italia

Del nuovo modello di Alfa Romeo cross over era circolato tempo addietro anche il nome di “Brennero”, per poi diventare “Milano” al momento della presentazione ufficiale del 10 aprile. Dopo le polemiche e il contrasto con il ministro Adolfo Urso, la sera del 15 aprile, Jean-Philippe Imparato, amministratore del marchio Alfa Romeo, ha annunciato il cambio del nome in “Junior”. Ha anche aggiunto segni di distensione, confermando la produzione della nuova Stelvio nel 2025 e della nuova Giulia nello stabilimento di Cassino – 140 km a sud di Roma – nel 2026.

I media italiani hanno seguito la polemica, coinvolgendo, anche sulla spinta dei social media, il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, e il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, accusati di compiacenza con Tavares. Lo sciopero del 12 aprile a Torino, con 12mila partecipanti contati dai sindacati, ha costituito ulteriore elemento di confronto.

Lo Russo si è difeso in un’intervista, parlando di concretezza e riconoscendo anche un problema di competitività locale e italiana – composta da costi dell’energia e da altri fattori.

Da parte del ministro Urso, si è paventata l’apertura a investimenti cinesi, che potrebbero produrre auto in Italia. Si è trattato di un messaggio divergente dalle posizioni euro-atlantiche sulla Cina, in contrasto con la preoccupazione sull’invasione delle auto elettriche cinesi, che costerebbero circa il 25% in meno. Sono a migliaia già parcheggiate in attesa di compratori e distributori in vari porti europei, come a Rotterdam, anche in ragione del minore assorbimento del mercato interno del paese asiatico.

Poche auto elettriche, poca industria

In Italia, la transizione verso le nuove motorizzazioni – elettriche ed ibride – fatica a decollare. Vi sono stati pochi incentivi pubblici alla transizione: in Italia solo il 3,8% del parco auto è elettrico, rispetto al 14,8% della Francia e al 14,3% della Germania. Sul piano industriale, la produzione di veicoli Stellantis è in aumento a Sud, vicino a Napoli, a Pomigliano d’Arco, ma in calo al Nord, in particolare a Mirafiori.

Così mentre la Francia lavora per una reindustrializzazione, in Italia resta sullo sfondo la preoccupazione della “deindustrializzazione”. Fu Luca Cordero di Montezemolo a lanciare il problema in un’intervista al Corriere della Sera del 14 novembre 2023 e alla televisione La7, il 29 gennaio 2024, lamentando le decisioni “prese a Parigi”.

Comunque, l’Italia (e quindi l’Italia del nord) è pur sempre un forte paese manifatturiero insieme alla Francia e dopo la Germania. Tuttavia, nel più breve termine, nei nostri territori alpini, si osserva la Regione Auvergne-Rhône-Alpes che primeggia nel “riarmo industriale” (come annota Régions de France) e  Torino che disegna nuovi progetti di sviluppo ma di portata sostanzialmente immobiliare, come l’“Innovation Mile”, che pur prevede centri studi e laboratori.

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Direttore di Nos Alpes, giornalista. Ha collaborato in tempi diversi con varie riviste e giornali, da Il Mulino a Limes, da Formiche a Start Magazine.

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