Nella forma d’un racconto, Anna Maria Colombo ci propone con una grande grazia la descrizione di un dipinto che racconta la Natività dal punto di vista dell’epoca e del suo autore: le parole che seguono sono quindi da leggere, così come merita una visita l’opera di Jacopino Longo, datata 1508, che si trova nella quattrocentesca chiesa di San Sebastiano a Pecetto Torinese.

Questo testo si aggiunge dunque nella nostra serie dei (cyber) Racconti di Natale, con una intelligenza della penna che è del tutto umana, e di cui ringraziamo Anna Maria.


A Giacomo piaceva camminare nella nebbia, soprattutto al calare della sera. Gli pareva di dimenticare i suoi dispiaceri, forse perché intorno a lui il mondo scompariva. E nemmeno temeva di perdersi. Il sentiero in salita fra i ciliegi era ben segnato.

Ma quella volta la nebbia era così densa e bagnata che sentiva la barba gocciolargli. Varcato il ponte d’assi di legno sopra il torrente, più della metà del tragitto era ormai alle spalle e Giacomo allora prese a ripetersi a mente i termini del contratto che di lì a poco avrebbe sottoscritto, alla presenza del fabbriciere e di onorati testimoni. Alcuni di loro, pensò, quelli che abitavano nelle frazioni più distanti dalla chiesa, a quell’ora dovevano essere come lui, in cammino nella nebbia.

Il curato li aspettava tutti nella sacrestia della canonica. Pochi giorni avanti, a lui pittore il sacerdote aveva fatto sapere che intendeva affidargli il compito di dipingere una Natività, su quella parete della chiesa rimasta bianca, in fondo alla navata, a destra del portale.

Che cominciasse Giacomo a calcolare una giusta mercede.

E così egli aveva fatto.

Il muro da ricoprire non era tanto ampio e il soggetto, la nascita di Nostro Signore, lo conosceva bene. Dacché era divenuto maestro ben cinque ne aveva dipinte, una persino in terra d’Allemagna. Trenta scudi d’oro del Sole di Francia potevano considerarsi un buon compenso, più un sacco di frumento.

E riguardo al tempo da impiegarsi, non temeva di mancare al patto. Stava per finire un anno davvero brutto, ma ora le cose andavano meglio e gli pareva d’intravedere una ragione per quanto era accaduto. Dunque anche il lavoro avrebbe ripreso  l’andamento di sempre. 

Le stelle si guardano meno di quanto si dovrebbe. Così si disse Giacomo sostando un poco nel buio, dopo che la porticina della sacrestia si era richiusa alle sue spalle. Poi, a passi lenti, prese il sentiero del ritorno e subito la nebbia lo avvolse.

L’indomani mattina e l’indomani ancora e per altre almeno due intere settimane il cielo fu di un azzurro terso e i muri si scaldarono ai raggi del sole. Le condizioni migliori per fare un “buon fresco”.

Nella sua vita Giacomo aveva sempre disegnato e dipinto. Santi e martiri sulle dorate ancone, armi sui gonfaloni, fiori, virtù e divinità sugli arazzi e anche bardature per alteri cavalli. Era pur tutto lavoro.

Ma pictor davvero lui si sentiva solo quando aveva di fronte a sé un muro di sabbia, sassi e mattoni. Di lì a poco, certo non senza una grande fatica, la parete si sarebbe sfondata, aperta su un mondo di immagini, lontane nel tempo come nell’universo. Figurazioni d’accadimenti passati, eppure destinati a riaccadere. Verso le quali, a lavoro compiuto, sempre lo piegava un sentimento di grande umiltà.

La sua mano e il suo pennello erano, Giacomo ne aveva l’intima certezza, tramiti di una volontà più grande. Per questa ragione mai alla fine di un’opera lo coglieva la scontentezza. Così come l’allegria gli era compagna all’inizio di ogni cantiere, quando si montavano le impalcature. Quell’insieme di suoni prodotti dal procedere lento del carro con il suo carico d’assi sull’acciottolato gli era familiare.

Non provava affatto dispiacere ad avere intorno molta gente, tanto vociare. Passata la novità, tutto sarebbe tornato come sempre e, nei giorni a venire, per lunghe ore nella chiesa deserta sarebbero risuonati solo i suoi passi. Sì, per buona parte della durata del lavoro, Giacomo lo sapeva, egli sarebbe stato in compagnia unicamente dei suoi pensieri. Leggeri come la sfera di un soffione in gioventù, pesanti come ciottoli melmosi ora. Per questo, affrescare la nascita del bambino Gesù lo confortava. Era ormai giunto il tempo in cui non avrebbe più saputo disegnare una corona di spine senza patirne le trafitture. 

Giacomo riteneva che Nostro Signore fosse nato in una casa diroccata, ma non priva di pregi. Perciò dipinse una colonna con capitello a sorreggere un soffitto a travi penetrato da selvatiche fronde. Alla parete destra di quell’antica abitazione addossò uno steccato di legno e vi fece sporgere, una sopra l’altra, le teste del bue e dell’asinello.

Poi a terra, lì accanto, pose un basto. A sinistra invece la scena si apriva su un paesaggio roccioso animato da pastori e greggi  mentre fra le nuvole un’angelica creatura proclamava “Vi annuncio una grande gioia“.

Si era appena dissetato alla fontana della piazza quando,  ponendo mano alla figura di Giuseppe, lo sfiorò il pensiero di prestare all’anziano padre putativo il proprio volto, come poc’anzi lo aveva veduto riflesso nello specchio d’acqua. Roseo d’intatta bellezza dipinse invece il viso della Madonna e di finissima azzurrite il gran manto.

Non restava dunque al pittore che dar vita al bambino. Il disegno era tracciato: il piccolo se ne stava tutto nudo dentro il suo giaciglio di paglia protetto dallo sguardo amoroso di Maria, devoto di Giuseppe e gaio di un trio d’angioletti. Ma per colorirlo si era fatto ormai tardi e quello era un lavoro di cura e diligenza che meritava rinnovate forze. E la luce alta del sole. 

Angela si chiamava la figlia di Giacomo: aveva tredici anni ed era una giovane paziente con occhi del colore delle nocciole. China sul telaio trascorreva le proprie ore. Ma il giorno precedente, poco dopo mezzogiorno, il subbio, senza un perché, si era incrinato e la tela di lino aveva cessato di crescere. Il falegname chiamato a ripararlo tardava e così Angela volle quel mattino accompagnare il padre sino alla chiesa in cima alla collina. 

La luce chiara del sole d’inverno penetrava dalle lunette vetrate quando Angela si trovò dinanzi alla parete in fondo alla navata. Giacomo allora la osservò muovere lenta il suo sguardo attento sull’intera superficie e soffermarsi sul viso della Madre. E poi, dopo un tempo che non avrebbe saputo misurare, la sentì pronunciare: “Padre, la Vergine ha un manto così azzurro e così morbido di pieghe che a meraviglia si farebbe culla del suo bambino”. 

In un autunno senza nebbia Giacomo se ne era andato e da allora Angela non aveva mai mancato di recarsi nella notte di Natale alla chiesa sulla cima della collina. Anche quell’anno, come sempre, il sagrestano, dopo aver acceso tutti i ceri, avrebbe aiutato il vecchio curato a indossare la pianeta più bella e la messa sarebbe iniziata.

Saliti i gradini di pietra, la donna batté forte i piedi per liberare le suole dalla neve e non bagnare le pietre del pavimento. Varcata la soglia, fece una lieve genuflessione e il segno della croce. Le poche persone già in chiesa occupavano i banchi vicini all’altare. Le bastò dunque girarsi per ritrovarsi, indisturbata, dinanzi all’affresco dipinto da suo padre. 

Alla luce delle fiammelle accese intorno alla sacra immagine,  il manto della Madonna appariva lucente come seta e carezzevole come il velluto e, avvolto in un suo lembo, dormiva il Bambino Gesù.

Angela lo guardò a lungo, poi abbassò lo sguardo sui suoi piedi gonfi che a fatica stavano negli zoccoli e lentamente prese posto in una sedia dell’ultima fila.

Nella Chiesa di San Sebastiano con il dipinto di Jacopino Longo si può entrare grazie anche all’applicazione Chiese a Porte Aperte, che si trova su Google Play e Apple Store, come annota il Comune di Pecetto Torinese.

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LA SERIE DEI RACCONTI DI NATALE

Anna Maria Colombo ha insegnato Storia dell’Arte Alpina all’Università di Torino e tenuto seminari e partecipato a progetti di studio e restauro sui tessuti antichi per varie istituzioni, fra cui l’Università Pontificia Giovanni Paolo II a Cracovia. Ha scritto per Allemandi, Interlinea, Priuli e Verlucca, Silvana Editrice ed altri. Tiene una rubrica sulla letteratura di montagna per Coumboscuro, periodico della minoranza provenzale in Italia.

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