Gaëlle Cavalié ha soltanto 21 anni quando, spinta dalla passione per l’alpinismo, sceglie di lanciarsi in una sfida solitaria sul Massiccio del Monte Bianco con l’obiettivo discalare il Couloir Couturier, ripido corridoio di ghiaccio verso l’Aiguille Verte. Ma tale sua impresa finisce presto con il trasformarsi in un autentico incubo perché una densa nebbia la avvolge nel cuore della montagna a 4 mila metri di quota, impedendole di proseguire, fare ritorno o comunicare con il suo campo base.

E quelle quattro giornate e quattro nottate trascorse isolata a lottare per la propria sopravvivenza fungono da fulcro narrativo del volume “Cent heures de solitude” (“Cento ore di solitudine”), pubblicato nel maggio del 2017 dalle Éditions Paulsen. Esso è acquistabile sul sito web della casa al prezzo di 12,00 euro per la consueta versione cartacea e di 6,99 euro per la versione invece digitale.

L’Aiguille Verte

L’Aiguille Verte (4.122 metri) è una delle vette più iconiche del Massiccio del Monte Bianco, considerata una delle cime più difficili delle Alpi non tanto per la sua altezza quanto per la complessità tecnica delle sue vie di salita. La prima sua ascensione è datata nel 1865 e si deve a Edward Whymper, lo stesso alpinista che per primo ha scalato il Monte Cervino.

Uno degli itinerari più ambiti ma anche più pericolosi è il Couloir Couturier, un lungo canalone ghiacciato di oltre 1.000 metri di dislivello, con pendenze che raggiungono i 60 gradi. In tale ostico e imprevedibile contesto, le condizioni della neve e del ghiaccio possono cambiare rapidamente trasformando una impresa in una trappola mortale, ciò che nel tempo ha reso l’itinerario teatro di numerosi incidenti.

Una avventura divenuta incubo

Rinchiusa nella sua trappola di ghiaccio sull’Aiguille Verte, Gaëlle Cavalié deve affrontare il freddo estremo, la fame e la sete, mentre il suo corpo si indebolisce sempre di più parallelamente alla speranza di essere salvata. Il tempo finisce con il dilatarsi e i pensieri non fanno che soffocarla, nel rimpianto di essere partita in solitaria e nel terrore di non essere mai più ritrovata.

Ma, quando oramai le forze iniziano ad abbandonarla definitivamente, una speranza si materializza nel rumore lontano delle pale rotanti dell’elicottero del Peloton de Gendarmerie de Haute Montagne, allertato soltanto due giorni dopo la scomparsa. I soccorritori individuano il suo rifugio improvvisato all’interno di un crepaccio, salvandola in extremis e in stato di ipotermia avanzata.

Scrivere “Cento ore di solitudine” ha richiesto alla sua autrice quattro anni sia per il trauma fisico subito sia per l’immersione tra ricordi e dolore che l’aveva condotta ad affrontare e il pentimento di un azzardo troppo ambizioso. Nonostante ella abbia sfiorato il dramma, perdendo diverse dita dei piedi a causa del gelo, ella ha avuto la forza di raccontare l’accaduto e tornare ad arrampicare.

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Classe 1997, ho due lauree in lingue e letterature moderne, un master di primo livello in giornalismo 3.0 e una incrollabile testardaggine, tutti quanti ottenuti con il massimo dei voti. Appassionata di scrittura dall’età di 7 anni e giornalista pubblicista dal 2021, ho contribuito a costruire “Nos Alpes” dalle basi, crescendo giorno dopo giorno e imparando a essere migliore assieme a lui. Nel tempo libero che mi sforzo di ritagliare coltivo alcune delle mie frivole passioni, tra cui il rosa e i dolci, lo shopping e il make up, ma soprattutto i miei racconti.

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