La vetta è molto più di un luogo fisico, è una esperienza dalla dimensione quasi spirituale, un territorio che l’uomo ha cercato di conquistare e dal quale è attirato come dal profondo richiamo della montagna. E proprio attraverso le pagine di un volume omonimo, Matteo Righetto guida il suo lettore in un viaggio dal sapore mistico attraverso le proprie radici più autentiche, ricordando che la vera rivoluzione ecologista deve partire dalla spiritualità della natura.
Il saggio, edito da Feltrinelli nel febbraio di quest’anno, è una interessante novità reperibile sugli scaffali delle principali librerie generaliste o specializzate in Italia. Per coloro che invece non hanno la materiale possibilità di recarvisi, esso è acquistabile sul sito web della casa editrice al prezzo di 13,30 euro per la versione cartacea e di 8,99 euro per la versione digitale.
Il fascino del “selvatico”
Al centro della riflessione di Righetto vi è il concetto di “sylvaticus”, termine latino che indica tutto ciò che appartiene alla foresta e si contrappone dunque al “domesticus”. Ma essere “selvatici” non significa soltanto vivere immersi nella natura bensì soprattutto avere la forza di riscoprire una connessione più intima con essa nell’idea che la civiltà moderna ci abbia progressivamente allontanati da tale legame primordiale.
“Il richiamo della montagna” si configura dunque tanto come un invito all’esplorazione fisica delle vette quanto come una ricerca interiore fautrice di estasi, smarrimento o meraviglia. Di qui ancora la genesi di una opera che parla a chiunque senta il bisogno di riavvicinarsi al lato più naturale e spontaneo di sé, dall’alpinista al trekker passando per chi vive la cima nel suo quotidiano e chi la ammira unicamente da lontano.
“Il richiamo della montagna”
“Il richiamo della montagna” non si limita a raccontare la bellezza incontaminata delle pendici montuose ma si fa anche portavoce di una denuncia contro il degrado ambientale e lo sfruttamento indiscriminato degli ecosistemi. Con un approccio che alterna la riflessione filosofica alla ricerca e all’analisi, Righetto porta perciò alla luce le responsabilità dell’uomo nella progressiva distruzione della natura.
Di qui la visione di una vetta che cessa di essere un mero paesaggio da ammirare e diviene per contro un elemento vitale dell’equilibrio ecologico ed esistenziale dell’essere umano. Oltre che l’incarnazione di un rapporto con l’ambiente basato sulla coesistenza armoniosa piuttosto che sullo sfruttamento vicendevole, dove la società rammenta bene e non dimentica le proprie radici anche esse “selvatiche”.
Un autore che dà voce alla natura
Matteo Righetto è uno degli scrittori italiani più attenti alla tematica del rapporto tra uomo e natura, perciò non a caso la montagna è da sempre al centro della sua narrativa tanto come cornice quanto come protagonista. Nato a Padova, egli vive attualmente tra la città e le Dolomiti e ha dedicato gran parte della sua produzione letteraria alla rappresentazione del mondo alpino e rurale.
La sua carriera di autore esordisce con “Savana Padana” (TEA, 2012), per poi elevarsi grazie a romanzi come “La pelle dell’orso” (Guanda, 2013), dal quale è stato anche tratto un film. Dopo “Apri gli occhi” (TEA, 2016), vincitore del “Premio della montagna Cortina d’Ampezzo”, e “Dove porta la neve” (TEA, 2017), ha dato alle stampe “Trilogia della patria” (Mondadori), tradotto in francese, inglese e tedesco.
Egli ha peraltro dato vita, nel corso degli anni, a testi teatrali e web series pluripremiati nonché, più di recente, ai tre volumi “I prati dopo di noi“ (2020), “La stanza delle mele” (2022) e “Il sentiero selvatico” (2024).
LEGGI ANCHE: Daniele Zovi racconta la “Autobiografia di una foresta di montagna”