In questa sua puntata, “Nos Alpes, Nos Livres” compe un salto all’indietro nel tempo per riscoprire uno dei più imponenti classici della letteratura moderna, “La montagna incantata” di Thomas Mann (1924). Ambientato sulle Alpi svizzere, in un sanatorio che accoglie malati da ogni parte del continente, il romanzo si trasforma in un luogo simbolico dove la malattia, la morte, la cultura, l’ironia e il desiderio si intrecciano sino a fondersi in una unica e vertiginosa meditazione.

La genesi de “La montagna incantata”

“La montagna incantata” (in originale “Der Zauberberg”) è stato pubblicato nel 1924 dopo una genesi lunga ben dodici anni: Thomas Mann, difatti, inizia a concepire tale lavoro nel 1912, ispirato dal soggiorno della moglie Katia in una clinica a Davos (Canton Grigioni). Il progetto si configura preliminarmente quale racconto breve ma le devastazioni della Prima Guerra Mondiale lo trasformarono in un romanzo totale, in grado di abbracciare l’intera condizione dell’uomo europeo moderno.

Tale lungo processo creativo non è tuttavia nuovo al prolifico autore e saggista tedesco, nato a Lubecca nel 1875 e noto per aver vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 1929. Dopo una infanzia segnata da sogni e letture solitarie, egli si è precocemente e lungamente dedicato alla scrittura, trasferendosi poi in Svizzera a seguito dell’ascesa del nazismo.

Un sanatorio alpino come specchio dell’Europa

Il protagonista de “La montagna incantata” è Hans Castorp, giovane ingegnere di Amburgo che si reca a Davos per visitare il cugino malato di tubercolosi, salvo poi scoprirvi un mondo sospeso, regolato da una percezione del tempo alterata. La sua visita, prevista per tre settimane, si trasforma in un soggiorno di sette anni, a causa di una diagnosi di tubercolosi che si rivelerà forse più psichica che fisica.

Il sanatorio diviene così un microcosmo della civiltà europea, abitato da figure emblematiche che incarnano le grandi tensioni culturali dell’epoca: l’umanista italiano Settembrini, fervente difensore del progresso e della razionalità, si contrappone al gesuita Naphta, portavoce di una visione autoritaria e mistica del mondo. A loro si affiancano, in una realtà dove la montagna si converte in simbolo di distacco dalla frenesia della vita borghese, Madame Chauchat, musa slava e sfuggente, e Peeperkorn, magnate olandese edonista e tragico.

Tempo sospeso e crescita senza approdo

Uno degli aspetti più originali del volume coincide con il modo in cui il tempo è percepito e narrato: se il primo anno del soggiorno occupa metà del libro, i successivi sei si dissolvono in un racconto sempre più rarefatto e quasi onirico. “La montagna incantata” è così un luogo fuori dal tempo, dove passato e futuro perdono consistenza e il presente si dilata indefinitamente e dove Hans Castorp attraversa un percorso formativo atipico a ricalcare e rovesciare il modello del Bildungsroman.

Non vi è una vera maturazione finalizzata all’azione o all’inserimento nella società poiché il giovane apprende  ma, alla chiusura sullo scoppio della Grande Guerra e il suo arruolamento, il lettore percepisce un senso di inutilità tragica. Mann stesso aveva definito la sua opera una parodia del romanzo di formazione, dove la saggezza non conduce alla salvezza bensì a una più profonda consapevolezza del limite umano.

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Classe 1997, ho due lauree in lingue e letterature moderne, un master di primo livello in giornalismo 3.0 e una incrollabile testardaggine, tutti quanti ottenuti con il massimo dei voti. Appassionata di scrittura dall’età di 7 anni e giornalista pubblicista dal 2021, ho contribuito a costruire “Nos Alpes” dalle basi, crescendo giorno dopo giorno e imparando a essere migliore assieme a lui. Nel tempo libero che mi sforzo di ritagliare coltivo alcune delle mie frivole passioni, tra cui il rosa e i dolci, lo shopping e il make up, ma soprattutto i miei racconti.

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