Sulle Alpi Liguri, in cima a una piega di montagna, tra un crinale e l’altro, ora confine tra Italia e Francia, vive il piccolo comune di Olivetta San Michele.
E’ un posto lontano e calmo, e luogo di passaggio. Ha una sua identità complessa, tra secoli di scambi, passaggi, separazioni. Oggi ha poco più di cento abitanti, e ogni elemento del suo territorio – dai toponimi ai ruderi, dai sentieri alle lingue – racconta una storia di transizioni e di permanenze, e dai tempi più antichi. Dall’altro, a vedere i luoghi, a parlare con le persone, si capisce come questa storia abbia prodotto questa tenacia unita a una grande calma, tutta alpina, della gente che ci abita.
Sono luoghi belli, che faticano a trovare lo sviluppo di altri piccoli Paesi simili che si trovano sul versante francese. Eppure, sul lato ligure, Olivetta è un luogo in cui si può stare benissimo.
L’hanno capito gli olandesi, gli svedesi e i tedeschi, che circolano piano piano a Olivetta, con qualche abitazione, quasi senza farsi notare, incantati.
Una lunga storia di transiti e mutamenti
Le origini di Olivetta sono antiche, più che antiche. I Balzi Rossi tra Ventimiglia e Mentone hanno avuto insediamenti umani millenni fa: si capisce allora che tutto l’entroterra di questa costa mediterranea fu da sempre abitato.
Alcuni ritrovamenti risalgono all’epoca preromana, all’epoca dei Liguri Intemeli, che erano pastori e agricoltori. Con la conquista del 14 a.C., queste zone furono integrate nella provincia romana delle Alpi Marittime, anche se la penetrazione in queste valli rimase marginale rispetto alla costa. I romani non andavano in montagna. Al massimo ci mettevano un presidio o attraversavano i colli per ragioni di commercio. È così in tutte le Alpi.
Nei secoli successivi, le valli della Bevera e della Roja – dove oggi sorgono Olivetta e le sue frazioni – ospitarono longobardi e franchi, e incursioni saracene, che ancora si ricordano, nel paesaggio costruito, nella memoria dei luoghi, qui a Olivetta come lungo la costa ligure.
Dal XII secolo in poi, la zona entrò nella sfera di controllo di Genova, pur con delle forti connotazioni proprie. Nel 1272 Penna aveva i propri statuti municipali e da disarmata visse un’invasione nel 1273 con il conte Carlo I d’Angiò. Per qualche mese entrò nella contea di Provenza, prima di ritornare a Genova, che se la riprese. Nel 1451, una banda di briganti, comandati da tal Brondetto di Sospello, forse su ordine del Duca di Savoia, prese il paese, che Enrichetto Doria da Dolceacqua poi riconquistò, sempre per conto di Genova. Poche cose comunque, anche se sanguinose: si racconta di stragi dei “briganti” con le forche.
Il passaggio ai Savoia e poi all’Italia
Intanto, nei lunghi periodi di quiete, la gente abitava in quelle case, coltivava, pascolava. Anche un monastero contribuiva alla vita agricola locale, come riprodotto oggi sui muri del paese. Con Genova, il territorio passò ad un certo punto negli Stati di Savoia e poi nel Regno Sardo. Era un luogo di mezzo, di cerniera tra la contea di Nizza, l’occidente ligure e il Piemonte. Vi abitava la stessa gente con le stesse regole.
Il nome di Olivetta San Michele appare molto tardi, nel 1890, dopo l’Unità italiana. Nello spirito di modernità ottocentesca, la sede comunale fu spostata dal nucleo originario di Piena, che era meno accessibile.
Dopo la Seconda guerra mondiale, con il trattato di Parigi del 1947 e la rettifica della frontiera, le frazioni di Piena, dove prima c’era il capoluogo, e Libri passarono alla Francia. La separazione fu percepita come a Olivetta come una mutilazione: case, chiese e campi coltivati rimasero oltre il confine, accessibili solo con documenti e controlli doganali. Diverse persone erano state sfollate a Torino, per la guerra. Al loro ritorno, l’impressione fu ancora più profonda.
Pur con propri canonici stilistici e propri contenuti, anche senza riferirsi direttamente a Olivetta il film con Totò e Fernandel, La legge è la legge, del 1958, metteva in campo la difficoltà nel comprendere il senso della frontiera nelle Alpi marittime italo-francesi L’integrazione europea, in diversi decenni, ha rimediato in parte alla separazione, con facilità al movimento di persone e cose, e anche di apertura.
Tuttavia la minaccia per il Paese è arrivata dallo spopolamento montano, che ha cambiato il paesaggio umano e indotto a inventare soluzioni e strumenti per restare nel luogo del proprio cuore, per restare a Olivetta.
Le tenaci invenzioni di Olivetta
Nella nostra visita a Olivetta San Michele, a inizio luglio 2025, abbiamo incontrato Remo Muratore. E’ un personaggio bellissimo, un bella figura delle nostre Alpi, con la tenacia che spesso ritroviamo in Savoia, o nelle Valli piemontesi, o in Val de Bagnes in Vallese.
Insegnante in pensione, consigliere comunale, ha recuperato le vigne del papà, e in parte ne ha fatto dei campi di lavanda. Sulle pendenze di Olivetta, che sono ripide, i colori dei terreni sono cambiati. La lavanda però non bastava: per rendere sostenibile economicamente l’attività Remo ha aggiunto un negozio, in cui si possono acquistare tre tipi di olio di olive taggiasche dei suoi campi, ma anche ricordi dei luoghi e dove si può bere un caffé. Ha anche uno spazio, poco oltre il paese, a terrazze, per ospitare camper e roulottes: poco dopo c’è il confine e la strada per andare a Sospel. E poi gestisce un agriturismo.
Ha attrezzato i suoi campi di lavanda e i suoi oliveti con il Disc Golf, un gioco inventato negli Stati Uniti, molto famoso da quelle parti, ma anche in diversi paesi a noi vicini.
Si lancia il freesbee da lontano verso un canestro giallo. Si passa sopra questo paesaggio magico, in cui abbiamo sentito le cicale. Per giocarvi arriva gente, parecchia quando sono in gruppi, da tutta Europa.
Tracciare i sentieri, e ricordare come fu costruita la chiesa
Ha tracciato e segnalato alcuni sentieri. Percorrendoli, vi è anche un’indicazione, di suo pugno, per raggiungere una minuscola spiaggetta sul Bevera, e vi dico che è un vero incanto. Non tutti possono capire, e pochissimi l’hanno vista. Con gli altri, e la gente, pochissima, ci si saluta per strada. Tutti hanno degli orti, e tengono in vita il paese, cercandone un futuro, mentre passano alcuni olandesi, sorridendo.
E’ una tenacia del vivere in montagna che trova radici, come altrove, nella cultura profonda. C’è ancora un piccolo cartello che indica il sentiero per raggiungere la stazione ferroviaria.
Si ricorda che le donne, quando scendevano a valle per la spesa o per la messa, risalendo portavano una pietra, appoggiata sul capo. Volevano una chiesa in paese, e sono le pietre con cui si costruì quella di Olivetta. Dal racconto che ho ascoltato, il messaggio non era sulle pietre, sulla povertà, sull’isolamento, ma sulla tenacia e sull’orgoglio di averla.
Paesaggio maralpino e natura protetta
Olivetta San Michele si trova dunque in una delle zone meno abitate e con meno edifici della Liguria. Il territorio è di grande livello ambientale, ed è incluso nel sito di interesse comunitario (SIC) “Monte Grammondo – Torrente Bevera”, che tutela la biodiversità dei luoghi. Qui vi sono ecosistemi forestali poco alterati: leccete vetuste, pinete di pino marittimo, macchie a erica e corbezzolo. A quote più alte si incontrano endemismi alpini come la Paeonia officinalis villosa, simbolo floristico delle Alpi Liguri.
La fauna è tipica dell’ambiente mediterraneo montano – maralpino diremmo – come il falco pecchiaiolo, l’aquila reale e la lucertola ocellata, oltre al geotritone delle grotte, un anfibio endemico. Il paesaggio mostra la sua storia: è ricco di terrazzamenti antichi – da far risalire ai romani e poi al medievo, se non prima – e in pietra a secco. Oggi sono in parte abbandonati e testimoniano una fitta economia agricola basata su olivo, vite e grano. Alcuni sono però recuperati, e si lavora per sistemarne altri, come nel caso dei campi di lavanda di Remo.
Da Olivetta si raggiunge il rifugio Patrick Gambino, custodito dal CAI e a 1.120 metri di quota, poco sotto il monte Grammondo, che arriva a 1.320 metri. Il sentiero attraversa castagneti e versanti rocciosi, con panorami aperti sulla costa ligure e sulla valle del Roja, che scorre più a occidente. Arrivarci toglie il fiato: da queste Alpi, la vista sul mare è improvvisa, e grandiosa.
Tenaci anche nella cultura
Olivetta San Michele è oggi l’unico comune ligure interamente riconosciuto come appartenente alla minoranza linguistica storica occitana, ai sensi della legge italiana n.482 del 1999. Il simbolo della croce occitana è presente sulla segnaletica comunale, e varie iniziative culturali – feste, incontri, laboratori – si sono sviluppate per mantenere viva una lingua molto identitaria.
Il dialetto non pare propriamente occitano. Dovrebbe infatti legarsi a una varietà di ligure alpino, roiasco o brigasco – quindi legato alla Valle Roja – con elementi lessicali e fonetici dell’occitano.
L’identità linguistica e culturale – insieme alla comunanza e dialogo con le comunità che ora si trovano in Francia – rimane un punto centrale nella narrazione del paese. La presenza di associazioni locali e la partecipazione a reti culturali transfrontaliere – come quelle delle Valli Occitane – contribuiscono a rafforzare la consapevolezza e la visibilità del borgo, anche sotto il profilo turistico.
Il Principato di Monaco, poi, ne segue le vicende, richiamandone l’attenzione, che accompagna con gesti di apprezzamento e di mecenatismo, come in altri comuni delle Alpi liguri, che appartengono alla rete dei Siti storici Grimaldi.
Architetture di memoria
L’architettura e il paesaggio costruito di Olivetta è sobrio e funzionale, con pietra locale, e intonaci ocra e colori liguri. Il paese principale si sviluppa lungo la valle Bevera, mentre le frazioni di Fanghetto e San Michele si trovano in valle Roja, anche loro vicino al confine, ma leggermente in un altro punto. Fanghetto, in particolare, ha visto negli ultimi decenni l’arrivo di nuovi abitanti – soprattutto artisti e europei del nord – che hanno restaurato case abbandonate e animato la vita culturale. Invece, è andato perduto il piccolo ponte medievale a Fanghetto, sul fiume Roja, portato via dalla tempesta Alex del 2020.
Le chiese sono piccole e belle: la parrocchiale di Sant’Antonio, danneggiata durante la guerra, fu restaurata negli anni Cinquanta, con decorazioni dell’artista Mario Raimondo, noto come Barbadirame, e anche questo soprannome nome parla del contesto umano. Nella frazione di Fanghetto si trovano le chiese degli Angeli Custodi e dell’Immacolata, segno della diffusione del barocco nelle Alpi marittime.
Olivetta San Michele resta un luogo di confine, non solo geografico ma anche simbolico. Lontano dai grandi assi infrastrutturali, ci si arriva con strade piccole e molte curve, ed è stato per decenni in declino demografico. Eppure in questo luogo calmo, in cui il respiro si riprende, tra gli sguardi tranquilli di chi ci abita, negli ultimi anni si è assistito a un lento e costante ritorno, che andrà consolidato. Le persone lavorano al rilancio del paese con spirito di battaglia, anzi, con la loro calma tenace, e lo abbiamo visto con i nostri occhi.
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