Primo Levi torna a Torino con la mostra I mondi di Primo Levi. Una strenua chiarezza, che vuole raccogliere il messaggio dello scrittore e scienziato testimone chiave del ‘900.

Il percorso espositivo curato da Fabio Levi e Peppino Ortoleva, arriva nello Spazio Mostre della Città Metropolitana dal 6 ottobre fino a maggio 2026 dopo un lungo viaggio in Italia e all’estero. L’allestimento — progettato da Gianfranco Cavaglià e realizzato da Arsmedia — si ripresenta in forma rinnovata, arricchito dal dialogo con migliaia di visitatori e dall’accesso a una nuova biblioteca multimediale.

I mondi di Primo Levi racconta le tappe della vita e dell’opera di una personalità che ha plasmato il Novecento. Propone materiali storici lasciando che a guidare siano i testi, le opere e la voce di Levi. Tra queste anche le le figure zoomorfe in filo di rame da lui modellate.

Il titolo suggerisce una poetica: strenua perché fatta di lavoro, pazienza, verifica; chiarezza perché non rinuncia alla complessità, ma la rende comprensibile. È la postura che attraversa tutto Levi, dalla pagina al banco di laboratorio, e che oggi necessita nuovo ascolto. Imparare Levi significa imparare a chiamare le cose per nome, a tenere insieme rigore e immaginazione, a difendere la dignità del lavoro e delle parole. Le tre direzioni cui “I mondi di Primo Levi. Una strenua chiarezza” guarda, le stesse che lo stessi Levi ha delineato con la sua vita.

La letteratura come testimonianza

Nei suoi scritti, tradotti in quaranta lingue, Levi ha ridefinito la scrittura di testimonianza come indagine razionale sulle cause del male, sulle responsabilità e sui meccanismi di disumanizzazione.

Da Se questo è un uomo e La tregua è scaturito un modello di letteratura allergica alla retorica che ha formato generazioni di lettori. In mostra, un percorso multimediale su Auschwitz, tratto da I sommersi e i salvati, chiarisce come la dimensione storica e quella morale siano inestricabili. 

La scienza e l’immaginazione

Nel Novecento delle specializzazioni, Levi è stato esempio di intellettuale poliedrico, capace di tenere insieme linguaggi e metodi. Chimico di professione, lo scrittore torinese ha praticato la scrittura come estensione del laboratorio. Nel suo Il sistema periodico ha mostrato che la precisione scientifica è una possibilità non un’alternativa all’immaginazione.

In mostra il racconto della storia dell’atomo di carbonio che nel suo ciclo di 200 anni accompagna la pianta dalla fotosintesi fino alla decomposizione insieme agli animali che se ne cibano.

Il lavoro come via di felicità

Ne La chiave a stella Levi porta al centro l’operaio specializzato, l’ingegnere, l’arte del “saper fare”, rivendicando il lavoro come realizzazione di sé e responsabilità sociale.

Nel cuore del Novecento industriale, si è trattato di una presa di posizione culturale e sociologica che, anche nel percorso espositivo, racconta lo sguardo di Levi verso il lavoro inteso come via di felicità.

Un percorso espositivo laboratorio per il futuro

La mostra è pensata anche per le scuole. Vuole accompagnare con una narrazione lineare i nuclei tematici — deportazione, ritorno, laboratorio, mestiere, scrittura — con contributi multimediali.

Per parlare ai giovani con naturalezza, il Centro culturale Primo Levi e l’Associazione Amici del Centro hanno coinvolto un gruppo dic laureandi come guide della mostra .

Il percorso espositivo è prologo del Primo Levi Lab, che dalla fine del 2026 avrà sede stabile nella nuova Biblioteca Civica di Torino (ex Torino Esposizioni al Valentino). Un’opportunità per omaggiare, realizzando luogo di incontro e laboratorio, una delle personalità meno appariscenti e al contempo rilevanti della città.

Levi un antidoto alla post- verità

La forza di Levi risiede nella semplicità e nella crudezza delle parole. Come il carbonio che descrive ne il Sistema Periodico, lo scrittore “dice tutto a tutti- ed è – un elemento singolare che sa legarsi con se stesso in lunghe catene stabili. Il suo ingresso nel mondo vivo non è agevole deve seguire un cammino complicato“.

Levi è uno che ha imparato il tedesco ad Auschwitz “dal basso non sulla grammatica“, dichiarò lui stesso. Lo diceva in modo semplice a chi glielo chiedesse negli incontri di lavoro, anche se in Germania era di cattivo gusto parlarne. Voleva catturarne la reazione. 

Nominare i fatti, verificare le fonti, diffidare delle semplificazioni, fanno di Levi un antidoto alla post-verità e alle scorciatoie emotive. La sua è una lingua intensa che sa farsi liquida come il mercurio. “Stare sciolti è obbligo e privilegio di tutte le sostanze che sono destinate, stavo per dire desiderano, trasformarsi” scriveva sempre ne Il sistema periodico. 

Raccontare Levi permette di leggere il Novecento e ampliare gli strumenti per comprendere il presente. Fare esperienza di come scienza e umanesimo, che oggi la tecnica fa sembrare così distinti, possano parlare la stessa lingua. Come tutti i grandi ha saputo sollecitare domande portando, con un linguaggio asciutto e controllato, un esempio unico di sensibile umanità.

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