La riapertura della linea ferroviaria del Fréjus, il 31 marzo 2025, dopo 19 mesi di chiusura per la frana di La Praz, non ha visto la ripresa del trasporto dei tir sui treni, che è svolta dall’Autostrada ferroviaria alpina (AFA), tra Orbassano vicino a Torino e Aiton vicino a Chambéry.
Anzi, la società che svolge il servizio, di proprietà paritaria dei governi italiano e francese, non ha i soldi per ripartire. Anzi, ha parecchi debiti, personale in cassa integrazione e nessuna decisione dei due Paesi a sostegno. Proprio il 1° aprile, Émilie Bonnivard aveva sollevato la questione alla riunione a Moûtiers con il ministro dei trasporti Philippe Tabarot. La deputata della Savoia e della Maurienne all’Assemblea nazionale aveva già scritto una lettera al riguardo il 3 febbraio.
In questi giorni, l’AFA annuncia chiusure, mentre i ministeri offrono rassicurazioni, ma con tempi lunghi. Eppure sono tonnellate di CO2, più TIR sulle strade, maggiori rischi: altro che passaggio modale delle merci su ferro.
Quanto costa e chi paga
Portare i Tir sui treni però costa, anche abbastanza, per la tratta tra Orbassano (Torino) e Aiton (non lontano da Albertille). Il progetto prevedeva che un terzo fosse ripagato dal servizio, e un terzo per ciascuno dai due Paesi. I risultati di esercizio sono poi stati di relativo successo, e le entrate hanno raggiunto il 40% dei costi.
Si stava ragionando su come rendere il servizio economicamente sostenibile. I costi esterni risparmiati erano già largamente maggiori del costo pagato: oltre 150 milioni di euro, su una spesa pubblica di circa 55 milioni di euro nel 2016, secondo uno studio della società AFA.
Il primo punto per aumentare le entrate riguardava la lunghezza della tratta, che sarebbe potuta arrivare a Lione e da lì, sulla carta, arrivare anche a Londra. Poi c’è stata la frana del 27 agosto 2023, a La Praz, in Maurienne, a interrompere i progetti.
Fermo il servizio, i due governi hanno interrotto i pagamenti alla società. Secondo Émilie Bonnivard, si tratterebbe di 600 mila euro per Paese per il 2023 e di 2,2 milioni di euro per Paese per il 2024. Così la società ha iniziato a faticare ed è ora a lumicino. I media locali in Piemonte ne parlano in questi giorni, e annunciano chiusure.
Un’interrogazione parlamentare a Roma e la lettera di Bonnivard
Dalla replica del viceministro ai traporti Edoardo Rixi, a un’interrogazione parlamentare del deputato Alessandro Cattaneo (Forza Italia, maggioranza) si è venuti a sapere che i due governi “stanno valutando la riattivazione di una misura di contribuzione congiunta per ridurre i costi del servizio sulla falsariga della «norma merci » “, e nella semplificazione della normativa europea sugli aiuti ai trasporto ferroviario.
Émilie Bonnivard nella sua lettera di febbraio parlava di Ferrobonus, un aiuto previsto dall’UE per spostare il traffico merci dalle strade alla ferrovia e per favorire l’uso del trasporto combinato e trasbordato su ferro da e verso nodi logistici e interporti.
Non ci sarebbe ancora un accordo sui valori: secondo la lettera sarebbero necessari 35 o 40 euro, forse treno/km, ma la parte italiana arriverebbe finora a 30 euro. Importi non lontani gli uni dagli altri, dunque, se si volesse procedere.
Una volta d’accordo, sembra che i due Paesi dovrebbero poi scrivere alla Commissione europea notificando o aggiornando l’aiuto (l’Italia ne ha uno approvato sul Ferrobonus nel novembre 2016) e attendere la risposta, che per la verità in qualche caso è anche rapida.
Tuttavia, non si sente tuttavia parlare, nemmeno come misura temporanea, e nemmeno per sapere se vi è qualche blocco giuridico, di ripristinare il meccanismo precedente di aiuto in attesa dell’introduzione di quello nuovo.
Così i treni che potrebbero portare i Tir restano fermi, la società AFA boccheggia, e i Tir vanno sulle strade, peraltro a vantaggio del pedaggio autostradale e dei tunnel stradali.
Una soluzione ferroviaria al servizio della sostenibilità” (c) Autostrada Ferroviaria Alpina
Come funziona l’Autostrada ferroviaria alpina
L’autostrada ferroviaria alpina è un progetto italo-francese pensato alla fine degli anni 90 e avviato nel 2003, messo in opera a livello pilota fino al 2007 e poi in attività ordinaria. Secondo i No TAV in Italia e i contrari alla Lyon-Turin in Francia dovrebbe facilmente risolvere la questione del transito delle merci, e invece langue tra problemi e costi.
Intanto si è dovuto adottare un vagone ribassato, il Modalhor, che consente di far passare i TIR nelle gallerie storiche. Nel 2010 sono stati trasportati 25 mila mezzi pesanti, e circa il 43% trasportava materie pericolose, dunque con minor rischio rispetto alla strada. I convogli erano quattro al giorno e potevano arrivare a cinque. Nel 2016, si parlava di 500 mila tonnellate di merci trasportate nell’anno, comunque poco rispetto al totale degli scambi italo-francesi. Comunque, secondo AFA, nel 2023 si era arrivati a un totale di 832 mila passaggi effettuati in vent’anni, con 157,6 mila tonnellate di CO2 in meno.
Infine è rimasta aperta la questione dei costi, che disturba senz’altro i ministeri (paganti) dell’Economia, senza che il sistema riesca a funzionare da solo e in modo concorrenziale con il trasporto su strada. Ci si stava provando, qualche risultato era all’orizzonte. C’era anche coerenza con lo sforzo di decarbonizzazione dei trasporti, ma è arrivata la frana in Maurienne il 27 agosto 2023, e il tema è scomparso dai radar.
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