Ripubblichiamo in traduzione italiana l’articolo Le Tunnel du Mont Blanc (Il Traforo del Monte Bianco) apparso nel dicembre 1965 e scritto da Edmond Giscard d’Estaing, per gentile concessione de La Revue des Deux Mondes, che ringraziamo. La versione francese si trova qui.
Edmond Giscard d’Estaing è stato presidente della “Société concessionnaire française pour la construction et l’exploitation du tunnel routier sous le Mont-Blanc” dal 1958 al 1966 – e quindi anche al momento della pubblicazione di questo testo. Economista e Inspecteur des finances, svolse un ruolo importante nella presenza francese in Indocina. Membro dell’Académie des sciences morales et politiques dal 1960, era anche il padre di Valéry Giscard d’Estaing, Presidente della Repubblica francese dal 1974 al 1981.
Nel 60ᵉ anniversario dell’inaugurazione del Traforo del Monte Bianco, avvenuta il 16 luglio 1965, questo testo offre una preziosa prospettiva sul momento di avvio dell’infrastruttura, sul suo ruolo europeo, sulle relazioni tra i due Paesi e sulle aspettative e visioni dell’epoca.
È un’ottima lettura di questi tempi.
Il 16 luglio 1965, il Presidente della Repubblica francese e il Presidente della Repubblica italiana inaugurarono il Traforo del Monte Bianco, che è “il più lungo tunnel stradale del mondo e che, sotto le montagne più alte d’Europa, unisce due nazioni già fraternamente unite”. Due giorni dopo, il tunnel è stato aperto alle autovetture; il 20 ottobre è stato aperto anche ai mezzi pesanti; d’ora in poi, giorno e notte, tutti i tipi di veicoli possono passare da un Paese all’altro.
Il completamento di un’impresa che a volte era stata definita inimmaginabile e il fatto che sia già in funzione da cinque mesi ci danno un’idea abbastanza precisa del lavoro svolto e della sua utilità.
Nel marzo 1953 i rappresentanti dei governi francese e italiano, in accordo con i delegati delle autorità svizzere, firmarono l’accordo per la costruzione del tunnel sotto il Monte Bianco. All’epoca furono sollevate numerose obiezioni, tanto che ci vollero quattro anni prima che il Parlamento francese ratificasse gli impegni governativi con la legge del 17 aprile 1957, sollevando perplessità sui costi dell’opera da realizzare e sui servizi che si potevano prevedere. Oggi siamo in grado di fornire risposte concrete alle domande che si ponevano e si pongono tuttora: perché scavare il traforo? Come è stato costruito? Quali sono i risultati del suo funzionamento?
Possiamo evitare di ripercorrere le ragioni per cui si è deciso di scavare il Traforo del Monte Bianco. Ciò che sorprende non è che sia stato deciso, ma che sia stato deciso così tardi. Per un secolo la rete ferroviaria è stata in continua espansione e le Alpi sono state bucate ovunque per consentire il passaggio dei treni. Allo stesso tempo, la rivoluzione dei trasporti portata dall’automobile sembrava essere ignorata. Il traffico stradale si è sviluppato con incredibile rapidità, ma le Alpi sono rimaste un ostacolo al traffico in estate e una barriera praticamente invalicabile tra il tardo autunno e la Pasqua.
Il trasporto di automobili con alcuni treni appositamente attrezzati era ovviamente solo una piccola risposta alle notevoli esigenze che si presentavano. Così, per almeno sei o sette mesi, la Francia e l’Italia apparvero come aree in cui un vero e proprio sciame di automobili vorticava continuamente, aree che paradossalmente rimanevano isolate. Quando si assiste allo spettacolo delle auto che intasano le strade della Francia e dell’Italia, dei convogli di auto che sempre più spesso collegano non solo città vicine, ma paesi lontani come la Gran Bretagna e l’Italia meridionale, ci si rende conto che Chamonix è rigorosamente sulla linea retta tra Parigi e Roma, e se si considera che Chamonix in Francia e Courmayeur in Italia si trovano alla testa delle valli che incidono più profondamente le Alpi, è facile capire perché il punto scelto per attraversare le Alpi sia stato quello che, su entrambi i lati, era visibilmente il più accessibile a bassa quota.
Se a questo si aggiunge che non esiste un valico tra Chamonix e Courmayeur, né un tunnel ferroviario tra le due città, si capisce perché il traforo del Monte Bianco sia stato giustamente ritenuto il più vantaggioso.
Gli accordi italo-francese prevedevano che ciascuno dei due Paesi creasse una società concessionaria incaricata di scavare 6 km ciascuno del tunnel, che doveva essere lungo 12 km. Le due società avrebbero poi istituito un organo comune e paritario di amministrazione che avrebbe sostenuto i costi diretti di gestione del tunnel e avrebbe diviso gli utili netti in parti uguali tra le due società concessionarie, che sarebbero state responsabili del finanziamento dell’impresa.
Le cose andarono così, e vale la pena di notare lo spirito di amichevole e totale collaborazione che prevalse tra italiani e francesi. Gli appalti da assegnare, sia in Francia che in Italia, erano oggetto di studi comuni e di capitolati rigorosamente identici. I processi produttivi erano gli stessi, così come le attrezzature utilizzate; ed è fisicamente impossibile distinguere ciò che è stato fatto dall’azienda francese da ciò che è stato fatto dall’azienda italiana.
Per quanto riguarda la collaborazione operativa, poiché i problemi legali che sarebbero sorti dalla creazione di un’unica società erano temporaneamente insolubili, essa è stata organizzata sotto forma di un accordo originale che, lasciando a ciascuna società la propria individualità e le proprie responsabilità, consente una gestione rigorosamente omogenea in cui nessun interesse nazionale distorce la perfetta uguaglianza richiesta in una impresa comune.
Le difficoltà tecniche da superare erano dovute essenzialmente all’altezza delle montagne da attraversare e alla necessità di ventilare, senza ciminiere intermedie, una galleria così lunga in cui i motori delle automobili diffondono il pericoloso gas monossido di carbonio.
Per quanto riguarda il primo punto, è apparso subito evidente che la roccia della metà francese del tunnel era un protogene duro, compatto, ma altamente diaclastico. Le pressioni esercitate dalle enormi masse rocciose sotto le quali è stata costruita la galleria hanno sempre e solo provocato fessure molto superficiali nella volta, ma è apparso chiaro che la larghezza della galleria non doveva essere superata, tanto che la forma dei garage all’interno della galleria è stata modificata per resistere più facilmente alle pressioni esercitate dalla montagna.
Le difficoltà incontrate sul versante italiano sono state più gravi, in quanto la roccia era di scarsa qualità e si è letteralmente disintegrata man mano che il progetto procedeva.
Si prevedeva che la temperatura raggiungesse i 38-40°C al centro del tunnel. In realtà, per i primi tre chilometri dalla testata francese, la curva di temperatura della roccia è stata perfettamente normale, per poi stabilizzarsi a 30°. In Italia, invece, la temperatura, che inizialmente era di 16°C (contro gli 11°C della Francia), è diminuita invece di aumentare. A 2,5 km dalla testata italiana, la roccia aveva una temperatura anomala di 12°, dovuta all’infiltrazione di acqua gelida dagli enormi ghiacciai della Vallée Blanche.
Mentre gli ingegneri italiani dovevano fare i conti con frane, afflussi massicci di torrenti interni e un costante abbassamento della temperatura, ci si chiedeva, non senza preoccupazione, come si sarebbero collegate le due metà del tunnel. Infatti, le temperature sul lato francese sono rimaste a 30° fino all’incontro con gli italiani, mentre a 3,5 km dal confine italiano le temperature sono salite costantemente da 12° a 20°, 25° e 30°. Il livello dell’acqua sul versante francese era molto più basso del previsto.
I francesi e gli italiani raggiunsero la metà del tunnel, il loro obiettivo comune, a distanza di un giorno l’uno dall’altro. Il 14 agosto 1962, l’ultima esplosione fece crollare il diaframma che ancora separava i due cantieri. Francesi e italiani fraternizzarono con commovente entusiasmo. I lavori erano stati eseguiti con tale perfezione che, pur essendo partiti da due punti distanti 12 km l’uno dall’altro, gli assi delle due gallerie si incontravano a 2,5 cm l’uno dall’altro. Ciò significa che, poiché il pavimento e la volta della galleria contengono naturalmente fessure di roccia che normalmente superano i 15 o 20 cm, era assolutamente impossibile scorgere la minima discrepanza tra le due volte, che proseguivano come se fossero state tracciate da un’unica mano.
Vediamo ora come è stato risolto il problema della ventilazione. L’aria fresca doveva essere aspirata da entrambe le piattaforme, francese e italiana, e soffiata nel tunnel fino a 6 km da ciascuna apertura. Questo poneva problemi di compressione e di flusso d’aria particolarmente delicati. Si decise che ogni metà del tunnel avrebbe avuto quattro condotti completamente separati per la fornitura di aria fresca e uno per l’aspirazione e lo scarico dell’aria viziata.
Ciascuno dei quattro condotti per l’aria fresca è responsabile dell’alimentazione di un ottavo della lunghezza totale del tunnel. Le bocchette d’aria sono state aperte ogni dieci metri per tutta la lunghezza del tunnel, alimentate per i primi 1.450 metri da una galleria, poi, dai 1.450 ai 2.900 metri, da un secondo tubo, un terzo e un quarto. In queste condizioni, è stato possibile effettuare delle regolazioni per garantire un’alimentazione d’aria perfettamente regolare per tutti i 12 km del tunnel.
Ma questo significava utilizzare una vasta area. Infatti, una volta scavato il tunnel, è stata costruita una strada che è un vero e proprio ponte di cemento, formando un pezzo unico con i tubi che sono collocati sotto la strada; e questi tubi rappresentano circa la metà del tunnel stesso in quanto utilizzati per il traffico. Sono stati installati due impianti, uno in Francia e l’altro in Italia, ciascuno con una capacità di 3.600 kilowatt. Ciò significa che 600 metri cubi di aria al secondo possono essere immessi nell’intero tunnel, mentre 300 metri cubi di aria viziata possono essere estratti mediante aspirazione.
L’impianto è alloggiato nella piattaforma, al di sopra della quale emerge appena, rendendolo il meno vulnerabile possibile alle valanghe.
I lavori sono sufficientemente avanzati da consentirci di conoscere quasi esattamente il loro costo. Il tunnel francese sarà costato circa 150 milioni di franchi, di cui 15 milioni di oneri finanziari intermedi. Come anticipo, l’impresa ha ricevuto delle sovvenzioni, il cui importo è stato fissato dagli accordi franco-italiani e che sono state fornite da Francia, Italia e Svizzera. 100 milioni di euro in obbligazioni garantite dal governo francese. La maggior parte di queste obbligazioni è stata collocata in Svizzera fin dall’inizio del progetto, per sfruttare i tassi di interesse che all’epoca erano molto più favorevoli sul mercato svizzero rispetto a quello francese.
Il costo della costruzione del tunnel per le casse pubbliche era quindi molto basso e il mercato finanziario francese non ne risentiva perché i prestiti erano collocati all’estero. Inoltre, il rischio assunto dal governo francese, in conformità con gli accordi internazionali sottoscritti, si sarebbe concretizzato solo nella misura in cui le operazioni non avessero fornito le somme necessarie per pagare gli interessi e rimborsare i prestiti garantiti.
Arriviamo così all’ultima domanda: come ha funzionato il tunnel dopo la sua apertura.
La prima osservazione da fare è che le condizioni di utilizzo del tunnel sono perfette. La ventilazione è perfetta, anche se i compressori sono utilizzati solo eccezionalmente a piena potenza. Il contenuto di monossido di carbonio viene registrato continuamente da nove stazioni distribuite in tutto il tunnel e che campionano costantemente l’aria; l’analisi spettrale rileva la quantità di gas nocivo e questo contenuto viene trasmesso elettricamente alle due cabine di controllo dove viene registrato su un tamburo simile a quelli utilizzati per la registrazione dei barometri. Ognuno dei nove aghi riceve gli impulsi da una stazione di campionamento dell’aria, in modo che i livelli di monossido di carbonio in nove punti del tunnel e le loro variazioni siano sempre chiaramente visibili in cabina.
In effetti, il contenuto di monossido di carbonio è stato mantenuto entro i limiti medi di 1-1,2 per 10.000, che è molto più basso di quello che purtroppo è comune in alcuni agglomerati urbani e soprattutto in molte gallerie. Sono stati installati anche nove indicatori di opacità. Una sorgente luminosa invia un fascio di luce che viene riflesso in uno specchio a breve distanza, in modo che il confronto tra la qualità della luce all’uscita e la qualità della luce al ritorno possa essere utilizzato per misurare l’opacità dell’aria.
Oltre ai telefoni e ai garage che si trovano lungo tutto il tunnel, ci sono anche cartelli che si accendono o si spengono automaticamente se le auto viaggiano a velocità diverse dai limiti autorizzati o se sono più vicine dei 100 metri considerati normali. Tutte queste informazioni, insieme al numero di auto che entrano in ogni sezione del tunnel, vengono visualizzate su pannelli luminosi che consentono al regolatore del traffico di monitorare eventuali anomalie e di prendere le misure necessarie, come aumentare o ridurre la ventilazione, inviare motociclisti per affrontare eventuali difficoltà, o addirittura vietare un settore o interrompere temporaneamente l’ingresso delle auto.
La questione pratica più dibattuta era il numero di veicoli che avrebbero utilizzato il tunnel. Secondo stime ottimistiche, nel primo anno si potevano prevedere tra i 350.000 e i 400.000 veicoli. Il tunnel fu aperto il 19 luglio. L’afflusso di traffico è stato subito notevole e il traffico è fluito senza incidenti. Durante le prime settimane sono transitati tra i 20.000 e i 40.000 veicoli. Questa cifra settimanale, molto superiore alle previsioni, si spiega in parte con la curiosità dei turisti e con il periodo di vacanza favorevole.
Da allora, tuttavia, il traffico ha continuato a essere intenso e anche nelle settimane non di punta sono passate circa mille auto al giorno. In totale, nei quattro mesi tra il 19 luglio e il 20 novembre, sono passate 337.000 auto. Questa cifra va confrontata con le 350.000-400.000 previste nell’arco dei dodici mesi. È quindi già certo che il numero di autovetture transitate sarà notevolmente superiore a quello previsto. Va inoltre notato che il traffico di mezzi pesanti è iniziato solo il 20 ottobre, il che significa che per tre degli ultimi quattro mesi non sono stati ammessi mezzi pesanti.
L’esperienza ha dimostrato che esistono percorsi permanenti di autotrasporto a lunga percorrenza che già utilizzano regolarmente il Traforo del Monte Bianco.
Sappiamo che il tunnel è soggetto a pedaggio, come le autostrade in Italia e in Francia. Poiché è importante soprattutto incoraggiare il traffico e il commercio tra i due Paesi, le tariffe sono state fissate in modo moderato. Tuttavia, i risultati finanziari sono stati altrettanto soddisfacenti di quelli registrati per il numero di viaggi effettuati. Gli incassi lordi dei pedaggi in quattro mesi hanno superato di gran lunga i 6.500.000 franchi per entrambe le direttrici. I costi di gestione sono bassi e sono principalmente dovuti all’energia elettrica, utilizzata in larga misura per la ventilazione quando il traffico è elevato, ma meno quando, di notte, il flusso d’aria naturale è sufficiente a garantire la purezza dell’aria necessaria senza ventilazione artificiale.
Sarebbe imprudente estrapolare troppo rapidamente da quanto accaduto nei primi quattro mesi. Certo, se si pensa alla facilità con la quale si facevano le cifre quando tutto era materia di previsione, se non di profezia, si potrebbe essere tentati di fare previsioni oggi, dato che possono essere basate su fatti osservati. Tuttavia, sarebbe meglio astenersi dall’essere troppo precisi e pensare solo che, sulla base delle entrate attuali e tenendo conto degli interessi passivi relativi ai prestiti contratti, le entrate nette copriranno molto probabilmente, se non supereranno, gli oneri finanziari corrispondenti all’investimento effettuato da parte francese.
Questi risultati materiali non sono gli unici ad essere stati raggiunti grazie alla conquista del Monte Bianco. L’importanza psicologica e internazionale dell’impresa non va certo esagerata, ma nemmeno trascurata.
L’idea europea è l’oggetto delle polemiche più appassionate e, troppo spesso, più ideologiche. Personalmente siamo molto legati a tutte le forme di avvicinamento europeo e a tutti i legami politici, sociali, economici e culturali che uniscono sempre più i cittadini dei nostri Paesi occidentali, che sentono la loro solidarietà ogni volta che si rendono conto della loro stretta parentela. Di tutte le Europe di cui si parla, a volte per difenderle, a volte per attaccarle, e purtroppo non sempre per realizzarle, il traforo franco-italiano del Monte Bianco, non solo per i servizi che fornisce, ma anche per l’esempio di cooperazione internazionale che dà, rappresenta un fattore importante nella costruzione dell'”Europa dei fatti”.
Edmond Giscard d’Estaing
Per gentile concessione di La Revue des Deux Mondes (pubblicato nel numero di dicembre 1965). L’originale è in lingua francese.
… e vi consigliamo anche di dare un’occhiata al numero di quest’estate della Revue. Noi lo abbiamo fatto.