La giornata di pre-apertura del Sommet Le Grand Continent ha visto due momenti ad Aosta, da una lato sul Trattato del Quirinale – con la presenza di Paolo Gentiloni – e dall’altro sull’informazione in tempo di crisi e di guerre. La prima parte si è svolta all’Università della Valle d’Aosta, nell’aula magna appena inaugurata. La seconda parte alla biblioteca regionale: ne parleremo in un altro articolo.
I nomi erano di tutto rispetto, a partire da quello appunto di Paolo Gentiloni, commissario europeo uscente e già a capo del governo italiano, proprio quando il Trattato del Quirinale fu tratteggiato, nel 2017. Mancavano Franco Bassanini e Gilles Pécout, per ragioni di salute per l’uno e per impegni istituzionali, in questi tempi di crisi di governo in Francia, sostituiti con le voci di Erkki Maillard e Alessandro Aresu, che sono state di grande interesse.
Il Trattato del Quirinale, come va
Del Trattato del Quirinale hanno parlato i due ambasciatori d’Italia in Francia, Emanuela D’Alessandro e di Francia in Italia, Martin Briens. Il loro messaggio è positivo: è una base di lavoro comune, riesce a strutturare i rapporti reciproci, facilita la comunicazione. Anche simbolicamente, Briens ha ricordato che, tra agosto e settembre, la portaerei Cavour ha visto integrata nel suo gruppo operativo nell’Indopacifico una fregata francese (la FREMM Bretagne). Inoltre, a fine novembre la portaerei Charles De Gaulle usciva dal porto di Tolone accompagnata da una fregata italiana (la FREMM Virginio Fasan). Sono state citate le cooperazioni culturali, sul bilinguismo, quelle industriali, in cui partecipa anche la Germania, e la futura riunione del Comitato transfrontaliero a Nizza, a febbraio.
Al tema territoriale e dei trasporti, dell’educazione superiore e del bilinguismo avevano fatto riferimento anche i saluti introduttivi del presidente della Regione Valle d’Aosta, Renzo Testolin, e della rettrice dell’Università, Manuela Ceretta.
L’impressione, negli interventi degli ambasciatori, era di una certa prudenza, che fa parte anche del loro mestiere. In effetti, il Comitato frontaliero avrebbe già dovuto riunirsi nel 2024, e deve ancora essere reso noto il bilancio delle attività svolte, l’anno scorso diffuso in occasione dell’anniversario del 26 novembre. Per altro verso, va ricordata la visita lampo del primo ministro Michel Barnier a Mentone e Ventimiglia il 18 ottobre e il positivo messaggio del 12 ottobre sui trasporti italo-francesi, così problematici al Fréjus, al Monte Bianco e al Tenda.
La tavola rotonda
Anche la tavola rotonda ha ricordato gli elementi che spingono alla convergenza, oltre ai luoghi comuni sulle relative differenze, su cui ha posto l’accento Alessandro Aresu. Erkki Maillard, che viene dall’EDF (Electricité de France) ha sottolineato il ruolo centrale della convergenza economica, e come questa si svolga in trilaterale anche con la Germania. La sovranità economica europea passa anche dalla cooperazione italo-francese integrata nel sistema europeo: è quanto dicono i rapporti di Enrico Letta e di Mario Draghi.
A conforto di questa lettura, Marco Piantini, del servizio “esteri” della Commissione europea, ha confermato che la vicinanza dei due Paesi è strategica per promuovere la competitività europea e per far avanzare alcune politiche che hanno bisogno di maggiore coesione, come quella dell’industria di difesa.
Sono argomenti che ha ripreso Paolo Gentiloni, nell’intervento finale a cui è seguito un vivo dialogo con Gilles Gressani, direttore di Le Grand Continent.
Cosa ha detto Gentiloni sul Trattato del Quirinale
Gentiloni le ha dette tutte, anche se in un linguaggio e un discorso composto ed equilibrato. Il Trattato nasce dalla necessità di dare una struttura al rapporto tra Francia e Italia, che è comunque esistente e spontaneo.
Serve solo in parte anche a rimediare a possibili crisi, o a prevenirle. Sono tutto sommato congiunturali: ha citato il caso dell’acquisizione mancata da parte di Fincantieri dei Chantiers de l’Atlantique e poi, dopo l’avvio dei lavori per il Trattato, “dell’insolito comportamento” di esponenti del governo italiano.
Si riferiva alla visita a Parigi a inizio 2019 dell’allora ministro cinque stelle Luigi Di Maio presso un esponente dei più radicali dei gilets jaunes, in piena fase di proteste e scontri, a cui seguì il ritiro dell’ambasciatore francese. I sei saggi che componevano il gruppo di lavoro del Trattato contribuirono al recupero del dialogo, oltre all’impegno diretto del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. Di questi, due partecipavano all’evento di Aosta: Marco Piantini ora a Bruxelles, e la stessa Emanuela D’Alessandro, ora ambasciatrice a Parigi.
Due elementi comuni
Gentiloni ha ricordato il livello della cooperazione franco-tedesca. Come ministro degli esteri tra il 2024 e il 2026, li ha visti lavorare insieme, con le delegazioni rispettive integrate anche da funzionari dell’altro Paese.
Ha fatto notare due elementi: Francia e Italia, oltre a mille altre ragioni, condividono due interessi fondamentali, sulla competitività europea (cioè mantenere un livello di produttività, benessere e coesione sociale, che nel mondo si trovano così articolati solo in Europa) e sull’autonomia strategica (cioè di sapersi gestire da soli per beni e servizi, e anche difendere). Sono elementi che stanno funzionando meno nel tandem franco-tedesco, per quanto siano comunque condivisi. Il contributo della cooperazione italo-francese può servire per promuoverli nella costruzione europea.
Altre differenze ci sono, se ne può parlare e non sono decisive. Non vanno neppure sopravvalutati i cambiamenti di governo: al di sotto delle trasformazioni politiche e di maggioranza, che pure avvengono, ci sono interessi che durano nel tempo, in particolare nella condivisione di valori comuni e del modello europeo che, appunto, si trovano solo in Europa. Il Trattato di cooperazione rafforzata del Quirinale quindi c’è, ed è utile.
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